Milano. Carlotta Benusiglio si sentiva chiusa in una trappola dalla quale non era capace di uscire.

Immagine della notizia (Immagine di Arbalete su Wikimedia Commons — CC BY-SA 4.0)

Milano. Carlotta Benusiglio si sentiva chiusa in una trappola dalla quale non era capace di uscire.

Le persecuzioni e la paura la stritolavano in una "morsa soffocante" alla quale "non era capace di ribellarsi". Per uscire dal rapporto tossico che la opprimeva, Carlotta Benusiglio sentiva di non avere altra scelta che la disperazione del suicidio o forse anche di un gesto dimostrativo.

C'è tutto il dolore di un amore finito in tragedia nelle 293 pagine delle motivazioni con le quali la giudice Raffaella Mascarino spiega perché l'8 giugno scorso ha condannato in rito abbreviato il 46enne Marco Venturi, a 6 anni di reclusione ritenendolo responsabile dello stalking e della morte della stilista 37enne come conseguenza degli atti persecutori che le aveva inflitto per molto tempo.

La vittima fu trovata impiccata con una sciarpa ad un albero dei giardini di Piazza Napoli a Milano. La giudice ripercorre ed analizza i passaggi delle indagini (che critica come lacunose, contraddittorie e insufficienti) e delle perizie che hanno oscillato tra le tesi del suicidio e dell'omicidio volontario, per escludere definitivamente la seconda.

Dagli atti emerge che la donna aveva una "personalità ben più sfaccettata e complessa di quella che viene descritta dai familiari e dagli amici", che si sentiva chiusa nella "trappola" di una relazione dalla quale non era capace di uscire e che non valeva "la pena di essere vissuta", a meno che non fosse intervenuto "un sincero gesto d'amore" da chi amava che avrebbe reso "più sopportabile il "peso" di vivere", scrive la giudice.

L'uomo, scrive la giudice, "era perfettamente consapevole" dello stato d'animo della donna per le vessazioni che le aveva inferto, ma non si può dire che conoscesse le sue intenzioni. Il fatto che più volte dopo la sua morte abbia parlato di "gesto eclatante" e "incidente" lascia pensare che si sia reso conto di cosa era accaduto, ma non c'è prova che abbia visto le "manovre autolesive". (Giuseppe Guastella)

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