Samarate. Nicolò Maja: "Prima o poi affronterò mio padre. Non lo odio, ma non lo perdono".

Immagine della notizia (Immagine di Ale5875 su Wikimedia Commons — CC BY-SA 3.0)

Samarate. Nicolò Maja: "Prima o poi affronterò mio padre. Non lo odio, ma non lo perdono".

Nicolò Maja è risoluto. Andrà in Tribunale a Busto Arsizio per guardare suo padre a processo per duplice omicidio. "Deve vedere cosa ha fatto, deve vedermi, deve rendersi conto". Non è semplice, per il 24enne, parlare di suo papà e di quello che ha fatto nella villetta di famiglia a Samarate (Varese) lo scorso 4 maggio 2022. Intervistato a casa dei nonni, Nicolò ha provato a forzare il suo riserbo e a spiegare cosa sia per lui oggi Alessandro Maja.

Nicolò, che cosa vorresti dire a tuo padre?
"Vorrei chiedergli il perché di quel massacro. Vorrei capire, deve darmi spiegazioni. Quando, in ospedale, lo staff medico mi spiegò cos'era successo io non volevo crederci, non potevo crederci. Se non potrò parlargli in udienza, prima o poi andrò in carcere ad affrontarlo".

Provi odio per lui?
"No, assolutamente. Ma sono molto arrabbiato. Non potrò mai perdonare quello che ha fatto. E non tanto a me, perché io sono fortunato, la mia famiglia ora sono i miei nonni e lo zio che si prodigano in ogni modo. Io non posso perdonargli di avere ucciso mia mamma e mia sorella".

Dal carcere ogni tanto tuo padre ti scrive. Ha mai affrontato l'argomento?
"No. Solo una volta in conclusione di una lettera ha scritto che spera, un giorno, che io possa perdonarlo. Un'altra volta ha scritto che ha perdonato mia mamma per gli errori che ha commesso. Poi mi dà consigli sulla fisioterapia e dove farla. Al mio compleanno mi ha fatto avere un biglietto: 'auguri, papy'. Mi fa effetto leggere quello che scrive, credo che nemmeno si renda conto di ciò che ha fatto".

Ti sei fatto un'idea di ciò che lo abbia portato a uccidere le persone che amava?
"Mio papà è rimasto intrappolato in un labirinto mentale fatto di fissazioni e di angoscia che si è costruito da solo. Negli ultimi mesi era ossessionato da una eventuale causa che avrebbe potuto intentargli la proprietà di un locale per cui aveva redatto un progetto".

"C'era stato un errore e lui temeva di cadere in disgrazia. Chiamava continuamente l'avvocato per avere rassicurazioni, si rivolgeva ai commercialisti, non aveva più pace. Aveva paura di non poterci più garantire gli standard e la qualità di vita che ci aveva sempre dato. Era pessimista di indole. Mia mamma ha cercato di dargli coraggio...".

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