Brescia. Morta dopo essere stata data alla fiamme. Confermato l'ergastolo per Abderrahim Senbel.
Anche per i giudici di secondo grado fu lui, la sera del 20 settembre 2020, a cospargere di liquido infiammabile e dare alle fiamme il corpo della moglie Mina Safine, bruciato per il 90%, deceduta poi al Centro grandi ustionati di Genova sette giorni dopo il suo arrivo.
La Corte d'Appello (presidente Giulio Deantoni) ha confermato la pena dell'ergastolo a carico di Abderrahim Senbel, 56 anni, ex addetto alle pulizie in un albergo sul Garda, originario del Marocco, per l'omicidio volontario della moglie connazionale di 45 anni.
Accolta quindi la richiesta del sostituto procuratore generale Francesco Rombaldoni, mentre la difesa — rappresentata in aula dall'avvocato Daniele Fariello — ha rinnovato l'istanza di assoluzione (o, in subordine, di riqualifica del reato in omicidio preterintenzionale) sostenendo, ancora, l'ipotesi del suicidio: che cioè sia stata la stessa vittima ad appiccare il fuoco, «in un terribile gesto estremo al culmine di una discussione con il marito».
Sull'accendino, «è stato repertato solo un lungo capello, compatibile con quelli di Mina, a dimostrazione del fatto che sarebbe stata lei, ad accendere la fiamma sulla sua testa»: per depressione (mai diagnosticata), disperazione, solitudine, i figli mai arrivati e qualche problema economico.
La tragedia si consumò nell'appartamento di via Tiboni, a Urago Mella, quartiere di Brescia. Verosimilmente durante una lite. Fu lei, Mina, a chiamare il 112, dopo aver contattato la sua migliore amica e la cugina: «Mio marito mi ha bruciata». «È stato lui», ribadì anche ai soccorritori una volta arrivati a casa.
Ma prima, «è stato proprio Senbel — ha sottolineato in arringa il suo avvocato — a prestarle le prime cure, spegnere le fiamme con una coperta e correre sul balcone sbracciandosi per chiedere aiuto ai passanti. Se fosse stato lui il colpevole, non avrebbe fatto tutto questo». Le motivazioni della sentenza che conferma il massimo della pena saranno depositate entro novanta giorni. (di Mara Rodella)