Genova. La testimonianza in aula di un'amica di Sharmin Sultana. Le dichiarazioni del figlio inutilizzabili.
In aula ieri mattina, davanti alla Corte d'Assise di Genova nel processo in corso per la morte di Sharmin Sultana, è arrivata un'amica della 32enne trovata senza vita il 7 maggio 2023 sotto la finestra di casa in via Ferro a Sestri Ponente, dopo un volo di 8 metri.
"Me lo ha detto diverse volte quando ci sentivamo al telefono che suo marito si arrabbiava perché non voleva che lei stesse al telefono e usasse i social. Anche l'ultima volta che l'ho sentita, due giorni prima che morisse, mi ha raccontato che lui non le parlava" – he riferito la testimone. La morte di Sharmin Sultana era inizialmente stata considerata un suicidio, ma successivamente il marito delle vittima, Ahmed Mustak, 44 anni, è stato arrestato con l'accusa di avere ucciso la coniuge. L'uomo si è sempre proclamato innocente.
"Ci sentivamo al telefono e su Whatsapp. Una volta aveva minacciato di picchiarla", ma "non mi ha mai detto di essere stata effettivamente picchiata", ha precisato l'amica della 32enne. E qualche tempo prima, Sharmin aveva raccontato di un episodio che l'aveva scossa: "Mi aveva detto che di notte aveva visto l'ombra del marito sulla porta, che lei pensava che la controllasse per vedere se dormiva o se stava usando il cellulare per chattare con qualcuno".
Nel corso dell'udienza il presidente della Corte, Massimo Cusatti, con un'ordinanza ha dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni rilasciate ai Carabinieri da parte del figlio più piccolo della coppia. Il bimbo, affetto da autismo e da un'altra grave malattia, non è stato mai sottoposto a un accertamento medico legale (perché nessuna delle parti lo ha mai richiesto) per cui non è possibile stabilire se le sue precedenti e drammatiche dichiarazioni ("Papà ha sbattuto la testa di mamma" aveva detto ai Carabinieri) siano attendibili.
Per la prossima udienza sono stati citati tre testimoni. Una di loro, conoscente della vittima, ha avuto un ruolo chiave nell'indirizzare le indagini perché, dopo la morte di Sharmin, si era messa in contatto con il centro antiviolenza Mascherona spiegando che l'ipotesi di un suicidio non era verosimile e che la 32enne era contenta perché il giorno in cui è morta avrebbe dovuto sostenere un colloquio di lavoro. (di Katia Bonchi – Genova24)