Voce su Renata Czesniak
Uno scorcio panoramico di Serrara Fontana
Renata Czesniak, 43 anni, originaria della Polonia, perse la vita nel corso della notte tra il 12 e il 13 gennaio 2019 nell'abitazione che condivideva con il convivente, Raffaele Napolitano, 39 anni, a Serrara Fontana, comune sull'isola d'Ischia in provincia di Napoli.
Dopo l'accaduto, l'uomo fu fermato per omicidio preterintenzionale e condotto in carcere. Secondo le ipotesi degli inquirenti, in seguito a un ennesimo litigio della coppia, il trentanovenne avrebbe spinto la convivente che, a causa dell'abuso di sostanze alcoliche, non era nella pienezza delle proprie capacità di intendere. La spinta avrebbe così provocato una rovinosa caduta che, considerata la precaria condizione di salute della vittima, gravata da pregressi episodi di maltrattamenti nei propri confronti, fu indicata come la principale causa del decesso in attesa di maggiori accertamenti in vista dell'esame autoptico.[1]
Lo stesso Napolitano fu imputato in un processo per maltrattamenti ai danni della signora Czesniak. Nel novembre del 2018 era terminata la misura cautelare degli arresti domiciliari ai quali il trentanovenne venne sottoposto proprio nell'ambito dell'inchiesta sui maltrattamenti alla quarantatreenne.
Foto di Sant'Angelo a Serrara Fontana sull'isola d'Ischia in provincia di Napoli (di Ulli Purwin, licenza CC BY-SA 3.0)
La donna arrivò in Italia alla fine degli anni '90. Iniziò a per lavorare come infermiera e poi come ragazza immagine nelle discoteche di Rimini e Riccione. Negli anni successivi ebbe un figlio e si trasferì a Ischia dove, però, non aveva mai avuto una dimora, né un'occupazione fissa.[2] Il bambino fu successivamente affidato dai servizi sociali a una sorella di lei. Sull'isola aveva intrapreso una relazione con Napolitano. Rapporto che però fu caratterizzato da numerosi alti e bassi in un contesto che, secondo le testimonianze, fu ritenuto altamente disagiato.[3]
Nelle settimane successive alla morte della donna, Napolitano fu scarcerato e sottoposto nuovamente agli arresti domiciliari nell'ambito dell'inchiesta sul decesso della convivente.[4] L'uomo si proclamò sempre innocente, respingendo qualsiasi addebito, negando persino per le accuse di maltrattamenti sulla convivente. Nonostante ciò la Procura, al termine delle indagini, ottenne il rinvio a giudizio del trentanovenne contestando formalmente il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato dalla morte della vittima.
Nel successivo mese di luglio la Corte d'Assise di Napoli aveva condannato l'imputato a 12 anni di reclusione confermando l'accusa sostenuta dal Pubblico Magistrato e riconoscendo che il decesso della donna avvenne per i maltrattamenti a cui la stessa fu sottoposta più volte.[5] Secondo le motivazioni della sentenza, i numerosi litigi che caratterizzavano la relazione della coppia avevano posto in essere, da parte dell'uomo, ripetute vessazioni di natura sia verbale che fisica nei confronti della signora Czesniak.
Foto dell'isolotto di Sant'Angelo a Serrara Fontana (di Maury3001, licenza CC BY 3.0)
Determinanti per il verdetto emanato dai giudici furono soprattutto le risultanze dell'esame autoptico che stabilirono la piena compatibilità delle lesioni che presentava la quarantatreenne con la ricostruzione di quanto accadde la notte tra il 12 e il 13 gennaio 2019 nell'abitazione di Napolitano.
Il decesso fu determinato da un'insufficienza respiratoria con multiple aree di emorragia endoalveolare, edema proteinaceo diffuso e insufficienza multiorgano. L'ispezione medico legale ritenne che tale quadro patologico fu attivato da un importante trauma toracico chiuso, prodotto con "elevata probabilità da reiterate violente azioni contusive".[6] In ogni caso, secondo gli inquirenti, il gesto che provocò la fatale caduta della donna non sarebbe stato premeditato, né voluto.[2]
D'altro canto la difesa dell'imputato aveva criticato la sentenza sostenendo che nel rapporto tra la donna e l'assistito non sussistesse la convivenza "more uxorio", elemento necessario per contestare il reato di maltrattamenti in famiglia.[6] Tuttavia il verdetto fu confermato in secondo grado e poi reso definitivo nel dicembre del 2022 dalla Corte di Cassazione.[7]