Voce su Yirel Natividad Peña Santana
Yirel Natividad Peña Santana, 34 anni, fu trovata morta nel corso del pomeriggio del 27 maggio 2023 all'interno dell'abitazione in cui risiedeva in via Giovanni Pascoli a Cassino, un comune della provincia di Frosinone.[1]

Uno scorcio dall'alto di Cassino in provincia di Frosinone (di Piotr Gurgul, licenza CC BY-SA 4.0)
La donna era originaria di Jima Abajo La Vega, una città della Repubblica Dominicana, ma da diversi anni viveva in Italia. Dal 2016 abitava a Genova, nel quartiere Dinegro, con i tre figli,[2] tutti minorenni: una adolescente di 14 anni, un bambino di 10 e una sorellina di circa 6 anni. Nei primi giorni di maggio del 2023 si era trasferita nella regione laziale per lavoro, insieme ad alcuni suoi connazionali.
A lanciare l'allarme, nel pomeriggio del 27 maggio, sarebbe stato un vicino di casa che, trovata la porta socchiusa, aveva scoperto il corpo senza vita della donna in un lago di sangue.[3] La vittima fu prima picchiata e poi uccisa a coltellate. Secondo l'autopsia, furono sferrati circa 12 fendenti d'arma da taglio. Uno di questi aveva perforato il polmone ed il decesso sopraggiunse per dissanguamento.[4] Sul collo della trentaquattrenne sarebbero stati rinvenuti anche dei segni di strangolamento.
La sera del successivo 28 maggio fu sottoposto a fermo un sospettato, considerato il presunto autore dell'omicidio.[5] Si trattava di Sandro Di Carlo, operaio di 26 anni, figlio di un imprenditore edile di Cassino.[6][7] Fondamentali nell'attività investigativa, condotta dalla Polizia e coordinata dalla locale Procura, si rivelarono le tracce rinvenute nell'appartamento della vittima, gli abiti ancora sporchi di sangue e il contenuto dei cellulari sequestrati dagli agenti.
Il ventiseienne respinse le accuse, sostenendo di essersi recato nell'abitazione della donna soltanto per incontrarla, poi aveva lasciato il posto mentre lei era ancora viva.[8] Nei suoi confronti, però, fu comunque disposta la custodia cautelare in carcere. A incastrarlo ci sarebbe stata un'impronta insanguinata, isolata dalla scientifica sul muro della stanza da letto della vittima, ai piedi del cadavere.[9]
Di Carlo, nel ribadire la sua innocenza, spiegò di essere ritornato nell'appartamento perché aveva dimenticato un oggetto. Quando aprì la porta, appena socchiusa, la trentaquattrenne era già in un lago di sangue. Avendo avuto paura, il giovane sarebbe fuggito e, in quel caso, avrebbe lasciato l'impronta sul muro.
Nella fase delle indagini il ventiseienne fu sottoposto a due perizie psichiatriche. L'esame disposto dal consulente della Procura lo aveva valutato pienamente lucido nel momento del delitto. Invece, per il perito incaricato dalla difesa, Di Carlo era totalmente incapace di intendere e di volere.[10] Nei mesi seguenti il giovane fu rinviato a giudizio.[11] Il gup rigettò l'istanza della difesa di celebrare il processo in rito abbreviato condizionato a una nuova perizia psichiatrica.[12]
Nel corso del dibattimento la Corte d'Assise di Cassino, in accoglimento delle richieste della difesa dell'imputato, aveva disposto una ulteriore perizia psichiatrica per accertare, in modo esaustivo, la lucidità mentale di Sandro Di Carlo. Nell'udienza in aula del 29 novembre 2024 fu ascoltato il perito, incaricato dai giudici, di effettuare l'esame medico sull'imputato. L'esperto affermò di aver valutato il comportamento del giovane dopo la morte della vittima, anche nel caso in cui lui non avesse commesso l'omicidio.
Secondo le ricostruzioni, l'imputato era rientrato nell'appartamento, trovando Yirel Peña Santana in fin di vita (la donna in quel momento respirava ancora). Sul posto l'operaio avrebbe aperto una Bibbia e trafugato un orologio della vittima, poi avrebbe vagato all'interno della casa e, infine, si sarebbe messo a pregare. Il ventisettenne, dopo essersi allontanato dall'appartamento, era rientrato nella propria abitazione e si era addormentato per poche ore. Considerata tale sequenza dei fatti, il perito sostenne che Sandro Di Carlo era capace di intendere e di volere.[13]
I legali dell'imputato avevano anche sollevato una questione di legittimità per l'ammissione del rito abbreviato, accolta dalla Corte d'Assise di Cassino con l'invio degli atti alla Corte Costituzionale. Nel gennaio del 2025, dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, fu reso noto che l'istanza era stata respinta. Il processo dunque continuò ad essere celebrato secondo il rito ordinario.[14]
Nell'udienza tenutasi il 17 marzo 2025 fu ascoltato il padre dell'imputato. L'uomo descrisse il figlio come "ingestibile" e incline alla violenza, soprattutto sotto l'effetto dell'alcol: "Sandro era instabile, aveva sbalzi d'umore incontrollabili. Avevo chiesto aiuto ovunque, ma ogni volta mi dicevano che non era malato, solo un ragazzo esuberante. Io invece sapevo che era pericoloso, per sé e per gli altri".
Di Carlo fu adottato da piccolo da una famiglia di Cassino e, secondo la testimonianza del padre adottivo, veniva spesso picchiato e abusato dai genitori biologici. Questo avrebbe fatto di lui un ragazzino problematico, la cui violenza veniva acuita soltanto dalla dipendenza dall'alcol. "Usciva e molte volte tornava strappato, con il naso rotto, ma non diceva mai la verità. In ospedale credevano che fossimo noi a picchiarlo – continuò l'uomo nella sua deposizione in aula. – Poi un giorno venne arrestato a scuola. E li capimmo che la situazione era grave. Lo dichiararono parzialmente incapace di intendere e volere".
La mattina del 27 maggio 2023, Di Carlo aveva lavorato con gli operai del padre in provincia di Latina, ma nel pomeriggio non rispondeva più al telefono: "Ho provato a chiamarlo, ma niente. Ho pensato che fosse successo qualcosa di terribile, che avesse ucciso qualcuno, e ho avvertito i Carabinieri di Pontecorvo". Il testimone riservò anche alcune parole per la vittima: "Mi dispiace immensamente per quella povera ragazza. Credo che abbia capito che Sandro fosse ubriaco e abbia cercato di allontanarlo".[15][16]