Voce su Angela Petrachi
Il corpo senza vita di Angela Petrachi, 31 anni, fu trovato l'8 novembre del 2002 in un bosco di Borgagne, frazione del comune di Melendugno in provincia di Lecce. La vittima, originaria dello stesso paese salentino, era scomparsa dal precedente 26 ottobre.[1][2]
La Chiesa della Presentazione del Signore in Piazza Sant'Antonio a Borgagne, frazione di Melendugno in provincia di Lecce (di Lupiae, licenza CC BY-SA 3.0)
Angela Petrachi era separata e madre di due bambini di 7 e 11 anni. Il giorno della scomparsa si trovava nell'abitazione dei genitori dove aveva pranzato insieme ai figli. Nel pomeriggio uscì dicendo che sarebbe andata per un'ora a casa sua. Da quel momento si persero le tracce. Dall'attività investigativa si scoprì che lo stesso giorno, tra le 17.00 e le 21.30, dal suo cellulare vennero inviati diversi messaggi ad un suo ex compagno. Nessuna parola, solo simboli. La persona in questione avrebbe dichiarato di non averla vista, né sentita, per tutta la giornata del 26 ottobre.
Le prime notizie sulla scomparsa della trentunenne vennero diffuse il successivo 31 ottobre, quando i Carabinieri trovarono la sua auto con la gomma posteriore destra sgonfia per un chiodo conficcato nel copertone. Il cadavere fu scoperto una settimana dopo, l'8 novembre 2012, in un cespuglio da un coltivatore di passaggio nel territorio di Borgagne, a poca distanza dalla zona abitata di Melendugno.
Il corpo martoriato si presentava in avanzato stato di decomposizione, seminudo, senza indumenti intimi, con la gonna arrotolata sino ai fianchi. Altri indumenti, stracciati, erano sparsi nei paraggi. Il volto, sporco di terra, era irriconoscibile. Fu possibile risalire all'identità della vittima soltanto grazie ad un tatuaggio, una farfalla sull'addome. L'autopsia rivelò che Angela Petrachi fu violentata, strangolata con i suoi slip, scaraventata più volte con il volto contro le rocce e torturata. Fu persino mortificata con dei pezzettini di legno infilati nelle parti intime.[3]
Secondo le ricostruzioni investigative, la donna, il giorno della scomparsa, avrebbe incontrato un compaesano agricoltore di 35 anni, Giovanni Camassa, per l'acquisto di un cane da regalare ai suoi figli. L'incontro però non sarebbe andato a buon fine. L'uomo, forse perché invaghito di lei, l'avrebbe aggredita fino a toglierle la vita. Il trentacinquenne fu arrestato, su richiesta della Procura di Lecce, nel maggio del 2003. L'indiziato aveva sempre respinto le accuse, proclamandosi innocente.[4]
Dopo il rinvio a giudizio, l'agricoltore fu assolto con formula piena dalla Corte d'Assise di Lecce nel gennaio del 2007.[5] La sentenza venne però ribaltata nel luglio del 2012. La Corte d'Appello del capoluogo salentino aveva condannato l'imputato all'ergastolo.[6] Il verdetto fu reso definitivo dalla Corte di Cassazione nel febbraio del 2014.[7][8]
Uno scorcio del Castello di Melendugno, recentemente denominato Palazzo Baronale D'Amely
L'esito giudiziario fu fortemente contestato dalla famiglia dell'uomo.[9] Nel corso dei vari processi i difensori evidenziarono sia la mancanza di un solido movente, sia l'assenza di una prova regina. Sempre secondo gli avvocati dell'agricoltore, non sarebbe mai stato concordato alcun incontro per l'acquisto di un cane tra il trentacinquenne e la vittima, tanto che sia nella denuncia di scomparsa, che nella successiva integrazione, non ci fu alcun riferimento in merito.[10][11]
D'altro canto la pubblica accusa aveva analizzato e confutato l'alibi dell'imputato, dimostrando, attraverso riscontri di natura tecnica che, l'agricoltore e la moglie non erano insieme nel corso del pomeriggio del 26 ottobre 2012. Camassa, infatti, aveva affermato di trovarsi quel giorno in compagnia di colei che mesi dopo sarebbe divenuta sua moglie. Un passaggio fondamentale soprattutto perché all'epoca fu intercettata una telefonata tra i due nella quale, secondo la consulenza dell'ingegnere Luigina Quarta, l'allora compagna pronunciò la frase "ti sto coprendo".
I legali di Camassa presentarono a distanza di anni una revisione del processo sulla base di nuove prove raccolte: due profili di DNA non appartenenti all'agricoltore rilevati sugli indumenti della vittima e la localizzazione non adeguata del presunto assassino tramite le celle telefoniche.[12] L'istanza non fu accolta dalla Procura generale di Lecce, né dalla Corte d'Appello di Potenza. Poi arrivò il definitivo diniego della Corte di Cassazione nel 2020.[13][14][15]