Voce su Maria Adalgisa Nicolai

La Chiesa di San Vincenzo a San Severino Lucano in provincia di Potenza dove sono stati celebrati i funerali della signora Maria Adalgisa Nicolai (di Francesco Dattoli, licenza CC BY-SA 4.0)
Maria Adalgisa Nicolai, 58 anni, fu uccisa dal compagno Giovanni Fabbrocino, 65 anni, la sera del 27 luglio 2020 a Portici in provincia di Napoli.[1][2]
In seguito al delitto, l'uomo si era gettato dal terzo piano dello stabile dove la coppia risiedeva nel centro della città, a pochi passi dalla linea ferroviaria Circumvesuviana. Alcuni vicini avevano allertato i soccorsi dopo aver notato il sessantacinquenne esanime, riverso sull'asfalto.
Sul posto intervennero i Poliziotti e i Carabinieri che, per accedere all'appartamento dove si trovava il cadavere della donna, si dovettero arrampicare su un'impalcatura, montata su una parte dell'edificio per alcuni lavori di ristrutturazione. All'interno fu rinvenuto il corpo senza vita della cinquantottenne, martoriato da numerose ferite d'arma da taglio.[3][4]
Il personale medico non ha poté fare altro che constatare il decesso per entrambi. Lui era disoccupato mentre lei, originaria di San Severino Lucano in provincia di Potenza, era una docente ricercatrice della Facoltà di Agraria dell'Università Federico II di Napoli, dove si era laureata nel 1991.
L'omicidio-suicidio sarebbe avvenuto al culmine di una violenta lite. L'uomo avrebbe prima colpito la vittima con un martello, facendole perdere coscienza, poi infierì ripetutamente sul suo corpo, sventrandolo con un coltello da cucina, probabilmente nel tentativo di sezionarlo e occultarlo a pezzi. Addirittura parti di organi interni furono sparsi sul pavimento e il cuore sarebbe stato strappato via dal petto a mani nude.[5] Tuttavia il sessantacinquenne non riuscì nel suo intento e, colto dalla disperazione, si lanciò nel vuoto per porre fine alla propria esistenza.

Uno scorcio di Portici dal porto del Granatello (di PiE81, licenza CC BY-SA 4.0)
La coppia conviveva da circa cinque anni, ma non in maniera costante. Dalle testimonianze raccolte, i due avrebbero discusso animatamente già nelle ore precedenti e i vicini avevano udito diverse urla provenire dal luogo del drammatico episodio.[3][4] Sul posto non furono rinvenuti biglietti o messaggi lasciati per spiegare il gesto.
Gli investigatori avevano interrogato alcuni conoscenti per cercare di comprendere le motivazioni delle ultime liti. Secondo vari racconti, Fabbrocino aveva un particolare timore nel contrarre il Covid-19 e sarebbe stato insofferente all'ipotesi che la compagna potesse passare da sola le vacanze nel proprio paese di origine, San Severino.[6][7]
Ufficialmente non furono mai state registrate segnalazioni o denunce per maltrattamenti, ma la ricercatrice circa un mese prima del delitto si era rivolta alla Onlus Gazebo Rosa che gestiva un centro antiviolenza in provincia di Napoli. Secondo quanto riferito dalla presidente dell'associazione, Rosa Visciano, la vittima veniva maltrattata e minacciata frequentemente dall'uomo che avrebbe dovuto assumere degli psicofarmaci, ma non poteva perché era ipocondriaco.[8]