Voce su Loredana Scalone
Foto dello scoglio di Pietragrande (di Salvatore Migliari, licenza CC BY 3.0)
Loredana Scalone, 52 anni, fu trovata morta la sera del 24 novembre 2020 tra gli scogli di Pietragrande, località del comune di Stalettì in provincia di Catanzaro.[1]
La donna presentava numerose ferite d'arma da taglio al corpo. Secondo le testimonianze dei familiari, era scomparsa dal pomeriggio del precedente 23 novembre. Gli ultimi ad averla vista sarebbero stati i datori di lavoro, una famiglia di Stalettì per la quale la cinquantaduenne era impiegata come collaboratrice domestica. Alcuni parenti, preoccupati perché non riuscivano più a mettersi in contatto con lei, presentarono la denuncia di sparizione.
Le indagini condotte dai Carabinieri di Soverato e dal Comando Provinciale di Catanzaro permisero di ritrovare il cadavere della vittima nella serata del 24 novembre. I militari, nelle ore precedenti, avevano fermato un conoscente della donna: Sergio Giana, 36 anni, originario di Badolato (Catanzaro), sospettato di essere coinvolto nella scomparsa della signora Scalone.
L'uomo era sposato e avrebbe avuto una relazione extraconiugale con la vittima, la quale a sua volta era separata. Nel corso dell'interrogatorio fu proprio il trentaseienne a indicare dove era localizzato il corpo senza vita della donna, rendendone possibile il ritrovamento.
Nei suoi confronti furono contestati i reati di occultamento di cadavere e omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione, della crudeltà, dei motivi abbietti e futili e dell'aver commesso il fatto in danno di una persona con la quale era legato da una relazione affettiva.[2][3]
Giana durante il colloquio avrebbe prima dichiarato che la donna era caduta, poi avrebbe affermato di aver avuto una colluttazione con lei e di essere stato aggredito, invocando la legittima difesa.[4][5] Infine, messo sotto torchio dalle evidenze investigative, aveva confessato le proprie responsabilità.[6]
Secondo le ricostruzioni, il trentaseienne aveva organizzato un incontro con l'amante e, dopo aver consumato un rapporto sessuale, l'aveva ferocemente aggredita fino a toglierle la vita. In seguito aveva occultato il cadavere tra gli scogli e si era allontanato dal posto.
Diverse ore dopo, però, era ritornato sul luogo del delitto e avrebbe infierito ulteriormente sul corpo senza vita sferrando altri fendenti. Avrebbe poi cercato di ripulire la scena del crimine con l'ammoniaca, probabilmente per tentare di cancellare le tracce e sviare le indagini. Impossessatosi del cellulare della vittima, avrebbe persino mandato un messaggio alla figlia della cinquantaduenne.[7]
Al termine dell'udienza di convalida del fermo, il giudice per le indagini preliminari confermò la custodia cautelare in carcere nei confronti di Giana.[8] L'esame autoptico sulla salma della vittima aveva rilevato circa 28 coltellate in varie parti del corpo tra cui il collo, la testa, il torace e il dorso. La donna durante l'aggressione avrebbe subito anche un tentativo di strangolamento.[9][10] L'uomo l'avrebbe persino sbattuta, verosimilmente, contro gli spuntoni di roccia delle pareti della scogliera di Pietragrange. Il decesso avvenne per insufficienza respiratoria acuta con shock emorragico, lacerazioni polmonari e fratture.
Nel settembre dell'anno successivo, alla chiusura delle indagini da parte della Procura, fu disposto il giudizio immediato a carico del reo confesso.[11] Nel corso del processo, l'imputato fu sottoposto ad una perizia psichiatrica che lo aveva valutato capace di intendere e di volere nel momento del delitto, nonché in grado di affrontare il procedimento giudiziario.
Secondo il perito, l'uomo avrebbe avuto una "eccessiva fiducia nelle proprie possibilità" e avrebbe "sopravvalutato sé stesso rispetto alla capacità di gestire la sua relazione sentimentale", giungendo ad una rottura emotiva che non gli aveva permesso di affrontare in maniera adeguata l'interruzione di quel rapporto, decidendo di "porvi fine in maniera definitiva e violenta ricorrendo all'omicidio".[12][13]
La Chiesa del Santissimo Rosario a Stalettì, dove sono stati celebrati i funerali della signora Loredana Scalone (di Nicholas Gemini, licenza CC BY-SA 3.0)
La pubblica accusa avanzò la richiesta di pena dell'ergastolo. Tuttavia, il 26 ottobre 2023, Sergio Giana fu condannato dalla Corte d'Assise di Catanzaro a 25 anni di reclusione.[14] Il verdetto aveva concesso le attenuanti generiche all'imputato ed escluso le aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti e futili.[15]
Secondo le motivazioni della sentenza, non sussistevano i motivi abietti e futili poiché le indagini non riuscirono ad individuare un preciso movente del delitto. Contestualmente, la premeditazione fu esclusa perché non fu rilevato un apprezzabile lasso di tempo nell'ideazione dell'omicidio, ritenuto dunque non pianificato, né organizzato.
Fu invece considerata sussistente l'aggravante della crudeltà, in quanto Giana non si limitò ad infliggere i colpi necessari a causare la morte, ma infierì ulteriormente sulla vittima. Secondo le risultanze dell'esame autoptico, nella prima fase dell'aggressione la cinquantaduenne si trovava frontalmente all'uomo e veniva colpita violentemente al torace con molteplici colpi d'arma bianca. Nella seconda fase, invece, la vittima sarebbe caduta a terra con le spalle rivolte verso il trentaseienne, essendo attinta da ulteriori fendenti al dorso, poi afferrata per i capelli e sbattuta con il capo contro le rocce limitrofe. In tali frangenti, Giana tentò anche di strangolarla.
La Corte, però, aveva concesso le circostanze attenuanti, dando rilevanza alla confessione dell'omicida in un momento in cui gli investigatori non avevano ancora contezza del delitto. Un'assunzione di responsabilità ritenuta dai giudici spontanea e che consentì agli inquirenti di ritrovare il cadavere.[16]
Di fronte a tale sentenza, la Procura (che aveva chiesto l'ergastolo) non presentò ricorso in Appello. La notizia suscitò grande sconcerto nei parenti della vittima.[17]