Voce su Alexandra Elena Mocanu
Alexandra Elena Mocanu, 35 anni, fu trovata morta nel corso del tardo pomeriggio del 23 ottobre 2022 all'interno dell'abitazione in cui risiedeva a Bolzano, situata in una zona residenziale nei pressi della confluenza dei fiumi Talvera e Isarco.[1]
Uno scorcio del Duomo di Bolzano (di Hiroki Ogawa, licenza CC BY 3.0)
A lanciare l'allarme furono i parenti del convivente della donna, Avni Mecja, 27 anni. La coppia era di origini straniere: lei romena e impiegata come barista in un centro commerciale cittadino; lui albanese e operaio edile. In precedenza risiedevano a Verona, poi i due si erano trasferiti da qualche mese a Bolzano. La trentacinquenne era separata dal marito - dal quale non aveva ancora formalmente divorziato - ed era madre di un bimbo di pochi anni, rimasto con la nonna in Romania.[2][3]
Il giovane aveva contattato alcuni parenti a Verona per annunciare di doversi "allontanare dalla città perché ricercato". Di seguito gli stessi familiari avevano avvisato le forze dell'ordine. I vicini di casa a Bolzano, la sera di sabato 22 ottobre, avrebbero sentito delle forti urla provenire dall'appartamento della coppia, probabilmente per una violenta lite. Poi il silenzio fino al pomeriggio del giorno seguente, quando la Polizia e i Vigili del Fuoco entrarono nell'appartamento e scoprirono il cadavere della vittima.
Il corpo senza vita della trentacinquenne era avvolto in una coperta. Secondo le risultanze dell'esame autoptico, il decesso risaliva alla sera del 22 ottobre, quando la vittima fu aggredita e colpita più volte alla testa con un martello.[4]
Nel 2019 e nel 2020, quando la coppia viveva a Verona, Elena Alexandra aveva denunciato il compagno per maltrattamenti. In seguito, però, la donna aveva ritirato la querela. Nonostante ciò, il procedimento a carico di Mecja andò avanti d'ufficio e si concluse con la condanna a 3 anni per violenza sessuale e maltrattamenti,[5] nonché la disposizione dell'obbligo di dimora presso l'abitazione dei suoi genitori. Successivamente ci fu il ricongiungimento con la trentacinquenne, nella casa di Bolzano.[6]
Dopo l'omicidio, il ventisettenne si diede alla fuga. Il giovane si sarebbe diretto prima a Verona e poi all'aeroporto di Treviso. In aereo aveva raggiunto il suo paese d'origine, l'Albania. Lì aveva incontrato la madre, in un bar a Kavajë (Tirana).[7] Nelle ore seguenti Mecja, convinto dai parenti, prese un nuovo volo e tornò in Italia per costituirsi alle forze dell'ordine. La Polizia nel frattempo aveva già avviato le ricerche del sospettato.[8]
Nel pomeriggio del 24 ottobre, il giovane fu rintracciato all'aeroporto di Verona e accompagnato dagli agenti della Squadra Mobile in Procura a Bolzano.[9] Mecja fu sottoposto a fermo e, dopo le formalità di rito, venne condotto in carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato.[10][11] Nel corso dell'interrogatorio aveva confessato il delitto.[12][13] Tuttavia, nell'udienza di convalida del fermo, svolta il seguente 27 ottobre, il giovane si avvalse della facoltà di non rispondere.[14] Il giudice per le indagini preliminari convalidò il fermo e dispose la misura cautelare in carcere per pericolo di fuga e reiterazione del reato.[15]
Nell'ottobre del 2023 Mecja fu rinviato a giudizio. A suo carico fu contestata l'aggravante della convivenza con la vittima e un precedente specifico, ossia una condanna per stalking nei confronti della donna, verso la quale lui aveva un divieto di avvicinamento e un divieto di dimora a Verona.[16] Il 23 febbraio 2024, chiamato a testimoniare al processo, il giovane ammise dinanzi alla Corte di aver ucciso la convivente. Secondo il suo racconto, la sera del 22 ottobre 2022, dopo aver passato una giornata a pedinare la vittima, Mecja le rinfacciò di essere a conoscenza del fatto che lei intrattenesse una relazione parallela con un altro uomo. Il giovane avrebbe persino ascoltato tutte le loro conversazioni e contattato il presunto amante.
Ne scaturì un'accesa discussione al culmine della quale la donna gli avrebbe lanciato un martello. Dopodiché il ventisettenne la colpì due volte alla testa, mentre era semi-distesa sul letto. Poi, a suo dire, Mecja "vedeva solo nebbia", voleva chiamare l'ambulanza e la Polizia, ma aveva paura. Elena Alexandra non perse subito la vita, ma trascorse un periodo di dolorosa agonia al quale il giovane avrebbe voluto porre fine per non farla soffrire, "stringendole un filo di ferro attorno al collo", ma non ebbe la forza di farlo.
Secondo le ricostruzioni, proprio durante quell'agonia, il ventisettenne usò il dito della vittima morente per sbloccare con l'impronta digitale lo smartphone di lei, dal quale mandò un messaggio a un'amica per tentare di depistare le indagini. Sempre durante la sua deposizione in aula, il giovane negò i maltrattamenti alla compagna, nonostante la trentacinquenne avesse raccontato, nella sua denuncia, di essere stata schiaffeggiata da lui.[17][18]
Il 27 marzo 2024 Avni Mecja fu condannato dalla Corte d'Assise di Bolzano a 24 anni di reclusione. La pubblica accusa aveva chiesto l'ergastolo,[19] ma la sentenza riconobbe all'imputato le attenuanti (concesse per la confessione e la collaborazione con gli inquirenti) equivalenti alle aggravanti contestate (lo stalking e la convivenza con la vittima).[20][21]
Uno scorcio di Castel Mareccio immerso nel verde a Bolzano (di Vollmond11, licenza CC BY-SA 3.0)
Secondo le motivazioni del verdetto di primo grado, la versione dell'imputato era "falsa e funzionale" a far passare il giovane come vittima di un'aggressione alla quale lui aveva reagito. Per i giudici, infatti, il delitto fu frutto di una "decisione meditata" di fronte alla constatazione della fine della relazione affettiva, poiché la donna fu colpita da Mecja "del tutto alla sprovvista, mentre si trovava sdraiata sul letto, probabilmente approfittando del fatto che lei stava già dormendo".[22]
Nel processo di secondo grado, però, la difesa dell'imputato chiese l'esclusione dell'aggravante dello stalking (alla luce della mancata connessione tra la condotta persecutoria e quella omicidiaria) e la concessione delle attenuanti generiche e quella della "provocazione per accumulo" prevalenti sull'aggravante della convivenza. Secondo il legale dell'imputato, il delitto si consumò al culmine di "un'esplosione di una rabbia repentina e incontrollata e non dettata da una programmazione fredda e premeditata", ma "covata per giorni e dopo aver sentito i dialoghi telefonici di Mocanu" con il nuovo compagno, "prendendo finalmente atto della fine della loro relazione affettiva".[22]