Tortolì. Gessica Malaj come Mirko Farci. La lettera di Paola Piras a Tefta, la madre sopravvissuta.

Immagine della notizia (Immagine di trolvag su Panoramio e Wikimedia Commons — CC BY-SA 3.0)

Tortolì. Gessica Malaj come Mirko Farci. La lettera di Paola Piras a Tefta, la madre sopravvissuta.

Cara Tefta, io non ti conosco, eppure in qualche modo la sorte — la cattiva sorte — fa di noi due persone vicine. So bene che il dolore ciascuno lo attraversa a modo proprio, ma devi credermi se ti dico che io penso di sapere cosa stai provando. Io lo so perché sono passata nel tuo stesso buio.

L'11 maggio di due anni fa mio figlio Mirko provò a difendermi dall'uomo violento che avevo malauguratamente amato e che avevo poi lasciato e denunciato, quando la nostra storia era diventata per me una prigione. Quell'11 maggio si presentò all'alba armato della sua vendetta. E cominciò a colpirmi con un coltellaccio: una, due, tre, 18 volte.

Sono stata sul burrone della morte, in coma, per 40 giorni. Quando mi sono svegliata il mio istinto ha chiesto di lui, di Mirko, e le mie orecchie hanno sentito le parole per una mamma più indicibili: "Mirko non ce l'ha fatta". Ringrazio ogni giorno il cielo di aver cancellato i ricordi di quel che successe, perché non potrei sopportare di ripensare a mio figlio che muore.

Mi hanno trovata che lui se n'era già andato, era vicino a me e io lo accarezzavo. Così mi hanno detto. Mirko come tua figlia Gessica. Due ragazzi perduti per difenderci da uomini tanto forti di violenza quanto privi di coraggio per sopportare un addio.

Ho pensato tante volte, a questo tipo di uomini. Non siete capaci di reggere l'abbandono? Sentite di non poter più vivere senza la donna che vi ha lasciato? Se tutto questo diventa per voi così tanto distruttivo, uccidetevi. Rivolgete a voi stessi il male che avete dentro, oppure fatevi aiutare a liberarvene.

Cara Tefta, ti auguro di essere più forte e reattiva di me. Di non fare la stessa mia strada, ma di imboccarne una migliore, meno angosciante, anche se so che sarà difficile. Io sono in balia di un dolore che si modifica e con il passare del tempo diventa più profondo, come se stesse mettendo radici sempre più vigorose nella mia vita.

I sensi di colpa sono un tormento in agguato perenne e sarà impossibile riuscire a scacciarli sempre, ma bisogna provarci. Sennò avrebbe vinto due volte il male. Non sono stata io e non sei stata nemmeno tu a volere e a fare quello che ci è accaduto. La colpa è di chi ha ucciso, di chi non conosce altra ragione che la violenza. È assurdo e ingiusto che ricada sulle nostre spalle.

E poi ti auguro che nessuno, dall'esterno, osi mai dire che è stata colpa tua, perché quello fa male, avvelena i pensieri, ti mette sullo stesso piano dell'assassino. Una malignità. Con me l'hanno fatto più volte. Colpa mia — ha detto qualcuno — perché, dopo la separazione, non sono stata solo madre e santa ma mi sono avventurata in una storia sbagliata, con un uomo violento, per di più pachistano.

Cara Tefta, leggo che hai un altro bambino. Forse avrai già pensato che vivere non ha più senso, una madre che sopravvive a un figlio esiste, ma non vive. Però lo devi a lui, al tuo bambino. Lo devi a lui e a te stessa. Tienilo stretto più che puoi, e custodisci i ricordi di tua figlia come fossero pietre preziose. Coltivali. Tienili accesi. È il solo modo di averla ancora lì con te.

Di Paola Piras - testo raccolto da Giusi Fasano sul Corriere della Sera.

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