Voce su Barbara Grandi
Uno scorcio di Piazza Cavour a Trecate in provincia di Novara (di Ateneo, licenza CC-BY-SA 3.0)
Barbara Grandi, 37 anni, fu uccisa nel corso della notte tra il 19 e il 20 novembre 2019 all'interno dell'abitazione in cui risiedeva a Trecate, un comune della provincia di Novara.[1]
La donna lavorava come badante e conviveva con il compagno Domenico Horvat, un disoccupato di 30 anni con il quale stava insieme da circa tre anni e dalla loro relazione era nato un bambino. I due avevano già avuto figli da precedenti relazioni: lei tre, lui uno. In precedenza i servizi sociali intervennero per togliere a entrambi l'affido dei bambini che, in seguito, furono adottati da altre famiglie.[2]
Il delitto si consumò di notte al culmine di una violenta aggressione nella casa dove la coppia conviveva. Nelle prime ore del mattino Horvat aveva chiamato i soccorsi, riferendo che lui e la compagna erano rimasti vittime di una "rapina finita male". I sanitari giunti sul posto non poterono fare altro che constatare il decesso della donna, il cui corpo presentava numerose ferite d'arma da taglio. Secondo la prima ispezione medico legale, i fendenti non erano meno di quaranta.[1]
Horvat fu sottoposto a fermo di indiziato di delitto e condotto alla locale caserma dei Carabinieri.[3] Nell'interrogatorio dinanzi ai militari, il trentenne raccontò che durante la notte una banda di romeni aveva fatto irruzione in casa. Costoro avrebbero prima aggredito lui, facendogli perdere i sensi, poi avrebbero ucciso la compagna. L'uomo avrebbe ripreso coscienza alle prime luci dell'alba, chiamando i soccorsi.
Per gli inquirenti, tale versione non aveva alcun riscontro plausibile. Nella serata del 20 novembre l'indiziato venne trasferito nel carcere di Novara.[4] Due giorni dopo, di fronte al giudice per le indagini preliminari, Horvat si avvalse della facoltà di non rispondere. Nei suoi confronti fu convalidato il fermo e disposta la custodia cautelare in carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato.[5]
L'autopsia sulla salma della vittima aveva rilevato circa 77 fendenti sferrati in varie parti del corpo. La donna soffrì una lunga agonia durata diverse ore, prima di perdere la vita. L'uomo avrebbe continuato ad accoltellarla anche in seguito al decesso. L'aggressione sarebbe partita dal salotto per poi spostarsi in bagno, dove la trentasettenne fu rinvenuta dai sanitari in un lago di sangue. L'arma da taglio utilizzata dall'assassino non fu mai ritrovata.[6][7]
Foto del Santuario della Madonna delle Grazie a Trecate (di Alessandro Vecchi, licenza CC BY-SA 3.0)
Le ulteriori indagini aggravarono la posizione di Horvat che, nel corso dei mesi successivi, continuò a ribadire la propria versione nonostante le evidenze raccolte dagli inquirenti. La coppia stava vivendo un periodo di crisi, testimoniato anche dai vicini che li sentivano spesso litigare. Anche il padre della vittima era a conoscenza delle numerose discussioni fra i due, al termine delle quali la donna aveva la peggio.
Lui stesso aveva raccontato di una denuncia partita dall'ospedale di Magenta, dopo che la figlia, malmenata dal compagno, si era presentata al pronto soccorso con un dito rotto.[2] La signora Grandi aveva anche registrato con il cellulare diverse minacce pronunciate dal trentenne. L'ultima risaliva proprio a circa mezz'ora prima del delitto quando la donna, uscita di casa, ricevette una chiamata: "Se torni, ti massacro".
Nell'autunno del 2020 Horvat fu rinviato a giudizio. Venne confermata nei suoi confronti l'accusa di omicidio volontario, alla quale si aggiunsero le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, oltre alla contestazione del reato di maltrattamenti in famiglia.[8] Nel febbraio del 2021, ascoltato in un'udienza del processo di fronte ai giudici, l'uomo continuò a proclamarsi innocente, ribadendo la versione degli sconosciuti entrati in casa che avrebbero aggredito lui e la compagna.[9]
Il 12 febbraio 2021 la Corte d'Assise di Novara aveva condannato l'imputato all'ergastolo, senza isolamento diurno ed escludendo l'aggravante della premeditazione.[10][11] Nelle motivazioni della sentenza i giudici avevano sottolineato i "numerosi, coerenti e schiaccianti elementi di prova", ai quali andava aggiunta la "totale incapacità di fornire una razionale spiegazione alternativa dei fatti".[12] Il 9 marzo 2022 la Corte d'Appello di Torino aveva confermato il "fine pena mai" per l'imputato.[13][14]