Voce su Elvira Bruno
La mattina del 17 aprile 2019 Moncef Naili, tunisino di 52 anni residente a Palermo, aveva telefonato alla Polizia dalla sua abitazione riferendo di aver ucciso la moglie.

Vista sulla stazione ferroviaria di Palermo, a pochi passi dall'abitazione dove è stata uccisa Elvira Bruno (di LinkSicilia, licenza CC BY 2.0)
Gli agenti della squadra mobile si recarono nell'appartamento dell'uomo, a pochi passi dalla stazione ferroviaria Notarbartolo, dove trovarono il corpo senza vita di Elvira Bruno, 53 anni. La vittima era sposata con Naili dal 2006, dopo essere uscita da una precedente relazione dalla quale erano nate due figlie. La donna aveva intenzione di chiudere anche quel matrimonio e, circa un mese prima, aveva iniziato le pratiche legali per ottenere il divorzio. Una decisione che però il cinquantaduenne non riusciva ad accettare.[1][2]
Interrogato dagli inquirenti, il tunisino confessò di aver ucciso la coniuge nelle prime ore del mattino al culmine di una violenta lite. La signora Bruno aveva un impiego come badante ed era rientrata a casa dal lavoro intorno alle ore 7.00, ma successivamente avrebbe avuto una discussione con il marito. L'uomo le strinse le mani intorno al collo e la soffocò fino al sopraggiungere della morte. Resosi conto della gravità della situazione, aveva cercato di rianimarla, ma non ci fu nulla da fare. Avendo compreso che ormai era deceduta, coprì la salma con un telo. Sarebbero trascorse poi diverse ore prima che il tunisino si decidesse a segnalare l'accaduto e costituirsi agli agenti accorsi nell'abitazione.[1]
Due giorni dopo, Naili aveva ribadito la stessa versione dei fatti davanti al giudice per le indagini preliminari. Nei suoi confronti fu confermato l'arresto e la custodia cautelare in carcere.[3] Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, oltre a non accettare la separazione, il cinquantaduenne aveva anche problemi economici che si sarebbero sommati al miscuglio di frustrazione e rabbia che aveva scaturito l'aggressione mortale.[4]
D'altro canto, l'uomo raccontò che quella drammatica mattina del 19 aprile, poco prima del delitto, la donna lo provocò, graffiandolo, dopo aver rifiutato la richiesta del coniuge di avere un rapporto sessuale. Una situazione che lo spinse ad aggredire mortalmente la vittima. Tale versione, però, non fu pienamente supportata dalla Procura, che si oppose al riconoscimento dell'attenuante della provocazione, contestando formalmente l'aggravante dei futili motivi.[5]
Nel successivo mese di novembre, Naili fu rinviato a giudizio in rito abbreviato con l'accusa di omicidio volontario.[2][6] Nel febbraio del 2020 la Corte d'Assise di Palermo accolse parzialmente la richiesta della Procura, condannando l'imputato a 30 anni di reclusione, ma senza riconoscere l'aggravante dei futili motivi.[4] Nel gennaio del 2021 la Corte d'Appello aveva confermato la sentenza di primo grado,[5][7] resa poi definitiva nell'aprile del 2022 dalla Corte di Cassazione.[8]