Voce su Anica Panfile

Uno scorcio del Monumento ai Caduti della Grande Guerra a Lovadina, frazione di Spresiano, a pochi passi dal Piave
I resti del corpo senza vita di Anica Panfile, 31 anni, furono trovati il 21 maggio 2023 in un'ansa del fiume Piave a Spresiano in provincia di Treviso. La donna, originaria della Romania e madre di quattro figli, era scomparsa dal precedente 18 maggio.[1] A denunciarne la sparizione fu il compagno, padre di uno dei figli della trentunenne.
Sulla vicenda fu aperta un'inchiesta da parte della Procura di Treviso. Inizialmente si pensò a un incidente, ma successivamente l'autopsia chiarì che la vittima fu uccisa.[2][3] Nel mirino degli inquirenti finì, come principale indiziato, l'ex datore di lavoro della donna: Franco Battaggia, 76 anni.[4] L'uomo, legato in passato all'organizzazione criminale della Mala del Brenta, aveva terminato di scontare nel 2011 una condanna per l'omicidio di Vincenzo Ciarelli, un commerciante trovato cadavere in una vasca di Forte Pepe a Venezia nel novembre del 1988.[5]
Il settantaseienne fu iscritto nel registro degli indagati e, ascoltato dagli inquirenti, disse che nel pomeriggio del 18 maggio 2023 aveva dato un passaggio in auto ad Anica Panfile, andandola a prelevare sul luogo di lavoro, a Treviso, presso una mensa dell'ISRAA (Istituto per i Servizi di Ricovero e Assistenza agli Anziani). Un'occupazione che a lei piaceva tanto ed al quale la donna era arrivata dopo l'impiego come domestica nella pescheria "El Tiburon" di Spresiano, di cui Battaggia era titolare.
Quest'ultimo riferì di averla portata nella propria abitazione, ad Arcade (Treviso), per questioni connesse a documenti fiscali: alla donna sarebbe servito il Cud 2022 per la dichiarazione dei redditi. In casa la trentunenne avrebbe confidato all'uomo di essere preoccupata per la propria situazione economica. Lei gli avrebbe chiesto 10 mila euro e Battaggia, a titolo di regalo, gliene avrebbe dati la metà.[6]
Infine la donna avrebbe chiesto di essere accompagnata in auto al centro del paese per svolgere ulteriori faccende. Dopo il passaggio in macchina, l'uomo si era allontanato quando lei era ancora in vita, non vedendola mai più. Gli inquirenti però non diedero totalmente credito a tale versione. Nelle registrazioni delle videocamere di sorveglianza di Arcade non c'era traccia dell'auto di Battaggia, che non avrebbe mai lasciato la sua abitazione. Non sarebbero state trovate tracce del denaro che la donna avrebbe ricevuto dal settantaseienne, né dei documenti fiscali che le sarebbero stati consegnati.
I Ris di Parma, nella camera da letto dell'abitazione dell'uomo, avrebbero trovato delle tracce biologiche riconducibili alla donna. Sui resti dal cadavere, inoltre, sarebbero stati isolati dei residui di sperma, che però non si poté identificare perché il DNA fu distrutto dalla permanenza in acqua. Secondo l'autopsia, la morte della vittima non sarebbe avvenuta per annegamento, ma piuttosto per soffocamento. La trentunenne sarebbe stata prima violentemente percossa a mani nude, all'altezza della nuca, poi soffocata. Dunque fu uccisa prima di essere gettata in acqua.[3] Nelle ore precedenti al decesso, avrebbe assunto della cocaina.
Il 16 gennaio 2024 Franco Battaggia fu raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, eseguita dai Carabinieri ed emessa dal gip di Treviso, su richiesta dalla locale Procura.[7] Secondo le risultanze investigative, il delitto sarebbe maturato al culmine di una lite estemporanea tra la vittima e l'ex datore di lavoro, probabilmente legata al denaro oppure ad un'alterazione del presunto killer per l'assunzione di cocaina.
L'uomo era accusato di omicidio volontario e tentata soppressione di cadavere. Fondamentali per ottenere la misura cautelare furono i video di alcune telecamere di videosorveglianza che avrebbero ripreso il pick-up di Battaggia, la sera del 18 maggio 2023, nei pressi del punto in cui sarebbe stato gettato il corpo senza vita della donna, nella frazione di Lovadina. La scientifica aveva anche trovato tracce della vittima su un tappeto, recuperato dagli investigatori nel garage di casa del settantaseienne, nel quale gli inquirenti ritennero che il cadavere fosse stato avvolto prima di caricarlo sul pick-up.
Il successivo 20 gennaio 2024, nel corso dell'interrogatorio di garanzia dinanzi al giudice per le indagini preliminari, Battaggia respinse le accuse e, contestualmente, si avvalse della facoltà di non rispondere.[8] Nel seguente mese di luglio, l'uomo fu rinviato a giudizio per omicidio volontario e tentato occultamento di cadavere.[9] Il processo di primo grado fu celebrato alla Corte d'Assise di Treviso.
In un'udienza del 5 maggio 2025, la difesa aveva chiamato a testimoniare un investigatore privato, secondo cui era impossibile per una persona sola, con la stessa struttura fisica di Franco Battaggia, mettere un corpo dentro ad un tappeto, sollevarlo e riporlo dentro ad un furgone. Il parere fu supportato da un video dimostrativo, proiettato in aula davanti ai giudici. Per il legale difensore, si trattava della "prova regina" che confermava l'estraneità del proprio assistito alle accuse mosse dalla Procura.
Nella stessa udienza, il legale dell'imputato aveva anche convocato in aula un consulente medico di parte, che aveva fornito ai giudici una pista alternativa alle ipotesi degli inquirenti: Anica Panfile sarebbe deceduta per una forte intossicazione da cocaina e le lesioni alla testa sarebbero dovute ad una caduta, avuta dalla donna una volta sentitasi male.[10]
Nell'udienza del 19 maggio 2025, Franco Battaggia aveva fatto depositare, attraverso il proprio difensore, una dichiarazione scritta in cui proclamava la sua innocenza: «Dopo che Anica aveva terminato il lavoro, siamo stati, come spesso accadeva, a casa mia. Ciò anche perché mi aveva chiesto dei soldi in prestito che io gli avevo consegnato, un importo pari a 5 mila euro. Poi dovevo darle il Cud come da lei richiesto. In altre circostanze avevo aiutato Anica, sia con soldi, sia con viveri da portare a casa per la sua famiglia e i suoi figli. Ero affezionato a lei e l'ho sempre aiutata, facendo in modo anche che lei non dovesse più prostituirsi».
«Quel giorno mi sembrava particolarmente agitata – scrisse l'imputato –, ma non mi disse altro. Se non che, sempre nel pomeriggio, doveva vedersi con qualcuno. Ma io non chiesi con chi. Verso le 16:45 l'ho accompagnata dal negozio di bici vicino a casa mia, perché mi aveva detto che sarebbe venuto qualcuno a prenderla e che comunque si sarebbe arrangiata. Così, dopo averla lasciata, mi sono diretto verso casa di mio fratello come faccio spesso». Da allora Battaggia non l'aveva più vista.
«Non l'ho uccisa – concluse, rivolgendo un appello ai giudici –, non ne avevo motivo. Volevo bene a quella ragazza e ci tengo ai suoi figli. Io sono l'unico che l'ha sempre aiutata e a cui lei si rivolgeva. E io ero disponibile, quando mi chiedeva una mano e persino quando non lo faceva».[11]
Il difensore dell'uomo puntò anche sulle diverse incongruenze emerse dalle indagini. In particolare, il telefono della vittima sarebbe stato ancora attivo tra le ore 16:42 e le 17:19 del 18 maggio 2023, quando fu uccisa. Il dispositivo fu poi spento intorno alle 17:45 circa e gettato via. In quell'arco temporale, il settantaseienne era diretto dal fratello a Mogliano: fu ripreso dalle telecamere al casello autostradale di Treviso nord, mentre il suo cellulare era agganciato alle celle telefoniche della zona circostante.
La pubblica accusa chiese la condanna a 21 anni e sei mesi di reclusione per l'imputato. Il 2 luglio 2025, tuttavia, la Corte d'Assise di Treviso aveva assolto Franco Battaggia con la formula del "non aver commesso il fatto".[12][13] Le motivazioni della sentenza di primo grado accolsero molte delle tesi esposte dalla difesa, tra cui impossibilità per settantaseienne di poter compiere da solo il delitto (per l'entità delle lesioni sul volto e sui polsi della vittima, tenuto conto della consistenza fisica della donna), oltre all'impossibilità di poter caricare e trasportare da solo, a bordo del suo pick-up, il cadavere della trentunenne.
I giudici evidenziarono anche la mancanza di un movente, mentre la presenza in casa di Battaggia di una sola traccia genetica, non ematica, fu ritenuta insufficiente per affermare che il delitto fosse stato commesso in quel luogo. Infine, la tesi della pubblica accusa secondo cui l'omicidio era avvenuto a seguito dell'assunzione di cocaina – da parte di Battaggia e Panfile nel corso di un rapporto sessuale – risultò illogica e poco credibile perché al contempo la sostanza stupefacente avrebbe provocato effetti di inusitata violenza nell'imputato e di sminuita capacità di reazione e di difesa nella donna.[14]