Bologna. Omicidio Kristina Gallo. Le motivazioni della condanna: "Solo l'imputato aveva un movente".
"Kristina Gallo non è finita da sola sotto il letto. Qualcuno era con lei mentre stava morendo e l'ha messa lì. E questo qualcuno non poteva che essere Giuseppe Cappello, che lasciò a casa della ragazza le chiavi dell'auto e i farmaci salvavita, senza tornare a recuperarli".
Così la Corte d'Appello di Bologna, presieduta dal giudice Orazio Pescatore, ha motivato la conferma della condanna a 30 anni per l'imputato 46enne accusato dell'omicidio della 26enne con cui aveva una relazione e che fu trovata senza vita in casa il 26 marzo 2019.
Inizialmente si pensò a una morte naturale, ma l'indagine fu riaperta per omicidio aggravato dallo stalking quando l'autopsia, chiesta dalla famiglia Gallo, rivelò che Kristina poteva essere stata strangolata. Nel 2022 l'imputato fu arrestato.
Il movente? "Kristina l'aveva sfidato, voleva lasciarlo e avrebbe rischiato di compromettere la sua doppia vita – Cappello aveva un'altra compagna – nessun altro aveva un movente". Inoltre, "Cappello si è sempre mostrato violento con lei, isolandola, controllandola ossessivamente e percuotendola. Negli ultimi mesi aveva manifestato propositi omicidi nei suoi confronti". Dati questi elementi, "non ha plausibile giustificazione la tesi della morte naturale" della difesa.
"Invece di giungere a un'affermazione scientifica sulla causa della morte della donna, si ricava tramite un percorso indiziario incentrato sulla posizione del cadavere. Ma i consulenti hanno affermato che le contrazioni della vittima in fase agonica, durata almeno 20 minuti, non è impossibile che l'abbiano portata a quella posizione, benché improbabile", queste le parole del difensore dell'imputato, l'avvocato Gabriele Bordoni, che anticipa il ricorso in Cassazione. (di Federica Orlandi – il Resto del Carlino)