Padova. Le testimonianze dei familiari di Giada Zanola: "Non poteva scavalcare la recinzione da sola".
Si è tenuta ieri, lunedì 27 ottobre, a Padova la seconda udienza del processo ad Andrea Favero, il 39enne autotrasportatore che avrebbe ucciso l'ex compagna 33enne Giada Zanola gettandola da un cavalcavia sull'autostrada A4 nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2024 a Vigonza (dove abitavano insieme al figlio). L'uomo è accusato di omicidio volontario aggravato.
Una decina i testimoni ascoltati dalla Corte per completare il puzzle legato al decesso della vittima. I primi sono stati i poliziotti che quella notte sono intervenuti sul luogo del decesso, trovandosi di fronte a una scena agghiacciante. Il corpo della 33enne, precipitato dall'alto sulla corsia di sorpasso, sarebbe stato preso in pieno qualche secondo più tardi (pochi minuti prima delle 3.30) da un camion in transito.
È stata quindi la volta di Gino, Daniel e Federica Zanola, rispettivamente padre, fratello e sorella della 33enne, i quali hanno evidenziato come la donna non avesse mai detto loro delle problematiche che avrebbe vissuto, soprattutto negli ultimi due mesi con Andrea Favero, che aveva lasciato (pur continuando a vivere nella stessa abitazione) dopo aver trovato un altro fidanzato.
Il padre Gino e la sorella Federica hanno teorizzato l'impossibilità da parte di Giada Zanola di scavalcare da sola la recinzione sovrastante il cavalcavia. A testimoniare per ultima è stata poi Maria, amica di Giada Zanola, che ha affermato come «nell'ultimo periodo mi aveva confidato che soffriva di attacchi di panico e che spesso le girava la testa, tanto che un mese prima della sua morte mi aveva scritto un messaggio dicendomi di avere "vertigini e vomito"».
Un aspetto legato a quanto accaduto dopo la morte della vittima: gli esami tossicologici avevano evidenziato la presenza di importanti quantitativi di Lorazepam nei resti della 33enne, ma non nei capelli di Andrea Favero. Un fatto decisamente strano, se si pensa che lo stesso 39enne, dopo le perquisizioni in casa casa (le quali avevano consentito agli investigatori di trovare cinque boccette di Lorazepam), aveva affermato che lo usava lui da un paio di mesi per dormire, tanto che le ricette utilizzate per acquistare gli psicofarmaci erano a suo nome. (G.F.P. – PadovaOggi)