Voce su Sofia Stefani
Sofia Stefani, 33 anni, fu uccisa il 16 maggio 2024 ad Anzola dell'Emilia in provincia di Bologna. Nel corso del pomeriggio, la donna si trovava alla "Casa Gialla" – la cosiddetta sede del Comando della Polizia locale in Piazza Giovanni XXIII ad Anzola – quando fu raggiunta da un colpo di pistola, rivelatosi fatale.[1][2]

Uno scorcio di Piazza Giovanni XXIII ad Anzola dell'Emilia in provincia di Bologna (di LigaDue, licenza CC BY-SA 4.0)
A lanciare l'allarme fu Giampiero Gualandi, 63 anni, un agente dello stesso Comando. Lui e la vittima si trovavano da soli in una stanza al piano terra dell'edificio. Dalla pistola in uso all'uomo era partito un proiettile che tolse la vita alla trentatreenne, colpita mortalmente alla testa.
I colleghi presenti nella struttura non avrebbero sentito grida o toni animati, ma soltanto l'esplosione del colpo. Accorsi nella sala dove si verificò il fatto, avevano trovato Gualandi mentre tentava di rianimare la vittima. La versione fornita dall'uomo era stata quella di un "tragico incidente": un proiettile sarebbe stato sparato per errore.[1][2] In una prima versione diffusa dalla stampa locale, l'esplosione sarebbe avvenuta quando il sessantatreenne stava pulendo la pistola. In una successiva versione, invece, il colpo sarebbe partito nel corso di una lite e di una colluttazione con la donna.
Sofia Stefani era originaria di Zola Predosa (Bologna) e, in passato, era in forza al Comando di Polizia gemellato con Anzola, quello di Sala Bolognese. Successivamente era andata in servizio alla stessa Casa Gialla di Anzola, dove era impiegato anche Gualandi. Ultimamente, però, alla trentatreenne non era stato rinnovato il contratto e lei si era trasferita in servizio a Cervia, dove aveva un contratto stagionale che le sarebbe scaduto a settembre. L'uomo in passato era stato comandante del Corpo di Polizia municipale della "Unione Comuni Terre d'Acqua", prima che l'ente intercomunale si sciogliesse. Dopodiché il sessantatreenne era tornato al grado di agente, ad Anzola.
Gualandi, sposato, aveva avuto una relazione extraconiugale con Stefani durata circa otto mesi, poi interrotta nel febbraio del 2024.[3] Secondo una prima versione diffusa dalla stampa locale, la vigile, fidanzata con un altro uomo, aveva scelto di non proseguire quella relazione con Gualandi, provando più volte a troncare il rapporto.[4]
Invece, secondo quanto aveva dichiarato il sessantatreenne nell'immediatezza dei fatti, era Stefani a voler portare avanti la relazione extraconiugale, mentre lui aveva definitivamente chiuso quel rapporto. Fra loro però era rimasta una frequentazione di natura lavorativa e sindacale, legata anche al fatto che la donna avrebbe voluto ritornare in servizio alla Casa Gialla di Anzola. Gualandi, d'altro canto, era già noto negli ambienti giudiziari per varie vicende, tra cui un caso del 2014 che lo vedeva destinatario di una querela per molestie sporta da un'altra collega, anche lei vigile. Quest'ultima però, successivamente, aveva ritirato la denuncia e l'inchiesta fu chiusa.
Nel corso della notte tra il 16 e il 17 maggio 2024 i Carabinieri del reparto operativo della compagnia di Borgo Panigale, coordinati dalla Procura di Bologna, sottoposero Giampiero Gualandi a fermo di indiziato di delitto con l'accusa di omicidio volontario aggravato. Il provvedimento fu emanato sulla base dei primi accertamenti investigativi che escludeva la versione dell'incidente. Gli inquirenti ritennero maggiormente plausibile l'ipotesi che il colpo non fosse stato esploso in maniera accidentale.
Dopo le prime dichiarazioni, rese nell'immediatezza dei fatti alla Casa Gialla di Anzola, l'uomo si avvalse formalmente della facoltà di non rispondere nell'interrogato effettuato in caserma dinanzi ai militari. La Procura di Bologna aveva contestato le aggravanti dei futili motivi e del legame sentimentale con la vittima.[5]
Il successivo 18 maggio, nel corso dell'interrogatorio di garanzia dinanzi al giudice per le indagini preliminari, il sessantatreenne ribadì la versione dello "sparo accidentale", precisando che Stefani lo aveva chiamato più volte al telefono poco prima del suo arrivo alla sede del Comando di Polizia locale di Anzola. In quel frangente il vigile aveva preso una pistola dall'armeria per pulirla. La donna, durante l'incontro, lo avrebbe aggredito perché si era arrabbiata per la fine della relazione extraconiugale che l'uomo aveva deciso di interrompere alcuni mesi prima.
Nel corso dell'alterco, lei avrebbe visto la pistola sul tavolo e avrebbe cercato di afferrarla, forse per usarla come oggetto contundente con cui colpirlo. Gualandi invece avrebbe cercato di strappargliela dalle mani. Nella concitazione del momento, sarebbe partito accidentalmente il colpo mortale. La Procura di Bologna, non ritenendo credibile tale versione, aveva chiesto la conferma del carcere per il sessantatreenne.
Il giudice per le indagini preliminari non ritenne sussistente il pericolo di fuga, ma dispose comunque la permanenza in carcere per Gualandi,[6][7] valutando necessaria la misura cautelare in relazione ai gravi indizi di colpevolezza contestati dalla Procura ed evidenziando, tra l'altro, una "spiccata pericolosità sociale" ed il rischio di reiterazione del reato.[8]
Gli inquirenti sottolinearono vari aspetti che avrebbero reso la versione fornita dal sessantatreenne poco credibile. Fu ritenuto poco plausibile il fatto che l'uomo avesse ritirato, per pura coincidenza poco prima dell'arrivo della vittima, la pistola di ordinanza allo scopo di pulirla in vista di un'esercitazione al poligono di tiro, considerato inoltre che la stessa arma era carica. Poco credibile anche il fatto che il proiettile fosse stato esploso accidentalmente, tenuto conto che la donna era stata colpita in pieno volto con una precisione che rappresentava una seconda straordinaria coincidenza, dopo quella del ritiro della pistola per pulirla.
Secondo le risultanze dell'esame autoptico, la trentatreenne fu centrata allo zigomo sinistro, sotto l'occhio e proprio accanto alla narice, con l'arma direzionata dal basso verso l'alto. Il colpo sarebbe stato esploso da una distanza ravvicinata, 30 centimetri al massimo. Una dinamica che, per gli inquirenti, escludeva lo sparo accidentale perché, a quella distanza, il proiettile avrebbe con più probabilità colpito altre parti del corpo, come l'addome o la gamba, anziché il viso.[9]
Relativamente alla colluttazione con la vittima, tale circostanza non avrebbe trovato conferme nelle testimonianze delle persone presenti al Comando di Polizia locale di Anzola, che riferirono di non aver udito voci o urla. Inoltre Gualandi, in un primo momento, avrebbe sostenuto di non sapere che Stefani si sarebbe presentata nel suo ufficio. Eppure, da un primo esame dei tabulati telefonici, emergerebbero tra le 15 e le 20 chiamate al cellulare dell'uomo nel pomeriggio del 16 maggio, tra cui l'ultima delle quali chiusa appena 7 minuti prima della telefonata del sessantatreenne al 118.
Dalle indagini era emerso che la vigile aveva fatto numerose e pressanti richieste a Gualandi per riprendere i rapporti che lui aveva bruscamente interrotto. L'agente negli ultimi tempi si sarebbe sentito schiacciato da quel comportamento, incapace di resistere alle insistenze della trentatreenne di riprendere la relazione extraconiugale, scoperta sia dalla moglie di lui che dal fidanzato di lei. La coniuge di Gualandi era anche intervenuta per ripristinare la serenità familiare, attraverso un confronto diretto con Stefani.[10][11]
Il vigile davanti agli inquirenti avrebbe sostenuto che lei lo perseguitava. In un episodio in particolare, la donna gli avrebbe annunciato di essere incinta e di aspettare un figlio da lui, ma successivamente lei stessa aveva confessato di mentire (la gravidanza era stata esclusa dall'autopsia).[12][9] Il comportamento di Stefani sarebbe divenuto insostenibile da parte dell'uomo, il che avrebbe potuto rappresentare un movente per liberarsi dell'ex amante.
Secondo l'ordinanza del gip che dispose la custodia cautelare in carcere, il sessantatreenne aveva "già in mente l'omicidio" quando, nel pomeriggio del 16 maggio 2024, la vittima aveva raggiunto la Casa Gialla di Anzola. Tra i due sarebbe iniziata una discussione e la trentatreenne avrebbe insistito nel voler continuare il rapporto. Gualandi era esasperato da quella situazione e, secondo il giudice, era "ragionevole ritenere che l'uomo avesse impugnato la pistola e premuto il grilletto per chiudere definitivamente i conti con una persona che lo ossessionava da alcuni mesi in maniera incessante". Infine, ad omicidio avvenuto, consapevole di quello che aveva fatto e di dover fornire una versione alternativa, l'agente si era attivato per chiamare il 118, "simulando una tragica fatalità".[8]
Ulteriori dettagli emersi dall'autopsia, effettuata sulla salma della vittima, avrebbero evidenziato una piccola ferita su una mano e delle macchie nere sull'altra, probabilmente di polvere da sparo. Secondo la difesa, tali elementi avrebbero rafforzato l'ipotesi del gesto accidentale poiché la ferita sarebbe stata provocata mentre Gualandi e Stefani tentavano di strapparsi l'arma a vicenda, mentre le macchie rilevate potevano indicare che, al momento dell'esplosione del colpo, la mano della donna fosse sulla pistola.[13] Nonostante ciò, la richiesta di scarcerazione dell'indagato fu respinta dal Tribunale della Libertà di Bologna.[14]
Nel successivo autunno, però, il gip di Bologna aveva disposto la scarcerazione dell'uomo, su richiesta dei propri legali. Secondo il giudice, sussistevano ancora i gravi indizi di colpevolezza indicati dalla Procura a carico di Gualandi, ma non avrebbe prevalso il pericolo di reiterazione del reato. Considerata la morte della vittima e il movente del sessantatreenne nel porre fine alla relazione con la stessa, le esigenze cautelari sarebbero state soddisfatte dagli arresti domiciliari.
Inoltre, le prime risultanze della perizia balistica, condotta dai Ris dei Carabinieri, avrebbero stimato una traiettoria del proiettile che rendeva verosimile l'ipotesi dello sparo avvenuto durante una colluttazione tra l'uomo e Stefani. Un elemento che, se confermato, avrebbe potuto dare credito alla versione dell'indagato. In ogni caso, per la Procura di Bologna, tali risultati non fornivano certezze sufficienti. Motivo per cui furono richiesti ulteriori accertamenti ai Ris. Contestualmente, gli inquirenti si opposero anche alla scarcerazione di Gualandi, presentando un ricorso per il suo ritorno alla casa circondariale.[15]
Poche settimane dopo, però, il Tribunale del Riesame aveva annullato la scarcerazione per un vizio di forma legato ad un difetto di notifica dell'attenuazione della misura cautelare alle parti offese. Nel frattempo, la Procura di Bologna aveva chiuso le indagini, a seguito delle quali fu richiesto e ottenuto il rinvio a giudizio.[16] All'ex comandante della Polizia locale di Anzola fu confermato il capo d'imputazione di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dall'aver commesso il fatto nei confronti di una persona alla quale era legato da una relazione affettiva.[17]
Nei primi giorni di dicembre del 2024, a seguito di un'ulteriore istanza presentata dai legali difensori, il gip di Bologna accolse per la seconda volta la richiesta di scarcerazione di Gualandi e dispose nuovamente gli arresti domiciliari con l'obbligo del braccialetto elettronico.[18] La decisione fu però ribaltata il successivo 27 dicembre dal Tribunale del Riesame di Bologna.[19] L'uomo rimase ai domiciliari fino al seguente luglio, quando la Cassazione confermò il verdetto del Riesame e l'ex comandante tornò in carcere.[20]
In una delle prime udienze del processo, il 17 marzo 2025, era emerso che Giampiero Gualandi e Sofia Stefani avevano sottoscritto un "contratto di sottomissione sessuale". In particolare il documento, estrapolato da una pennetta USB e firmato un anno prima del delitto, il 18 maggio 2023, l'imputato si autodefiniva "padrone" e dichiarava Sofia Stefani la sua "schiava": "Io signore e padrone, mi impegno a dominare l'anima della mia sottomessa, divorandola a mio piacimento".[21]
L'avvocato della difesa, tuttavia, precisò che non si trattava di un vero è proprio contratto: "Ci sono siti Bdsm da cui si possono scaricare documenti di questo tipo. Era un gioco, non aveva nessuna validità, nessuna efficacia giuridica, nessuna possibilità di condizionare comportamenti". Il legale, inoltre, invitò i presenti in aula a "non dare un giudizio sulla vita sessuale degli adulti", segnalando che "dalla copia forense del telefonino della vittima, su ricerca di siti, la tematica interessava a Sofia Stefani". L'accusa, però, fece notare che "in quel contratto i protagonisti erano un comandante e un'agente, e il tutto si collocava tutto nel contesto lavorativo" della vittima e dell'imputato.[22]
La Procuratrice aggiunta di Bologna riferì in aula che, nei concitati giorni che portarono all'omicidio, Gualandi si trovava "prigioniero di un castello di menzogne da lui stesso costruito". Secondo le ricostruzioni, il rapporto tra l'uomo e l'ex collega si interruppe per pochi giorni, a fine aprile del 2024, a seguito della casuale scoperta della moglie di lui. Il sessantatreenne, tuttavia, invece di ammettere i fatti e assumersi le proprie responsabilità, aveva raccontato che "la storia era conclusa da tempo" e che era la giovane donna che continuava a perseguitarlo.
Sempre secondo la Procura, la relazione riprese a pochi giorni di distanza, "nella piena inconsapevolezza della moglie". Poi, "nella fase che precedette l'omicidio, Gualandi assunse comportamenti di assoluta doppiezza, mandando a Stefani messaggi confermativi del rapporto affettivo e sessuale, mentre alla moglie, negli stessi minuti, scriveva di essere tormentato dalla giovane".
Nel corso della stessa udienza furono ascoltate anche le altre due persone presenti al Comando della Polizia locale nel momento dell'omicidio: Michele Zampino, impiegato amministrativo, e Catia Bucci, sovrintendente. Zampino riferì di aver sentito il colpo di pistola: «A un certo punto sentimmo un tonfo. Il tempo di guardarci e di dirigerci verso il corridoio e Gualandi uscì dal suo ufficio col cellulare in mano... era al telefono con il 118 e mi disse di chiamare il 112. Io mi affacciai e vidi Sofia Stefani a terra nell'ufficio. Chiesi a Gualandi cosa dovevo dire. Lui mi disse: "Dì che è partito un colpo". E io chiamai i Carabinieri col mio cellulare e dissi così".
La sovrintendente Bucci dichiarò in aula di non aver visto arrivare la trentatreenne alla "Casa Gialla" il pomeriggio del 16 maggio 2024, ma quando tornò nel suo ufficio la sentì parlare "con tono di voce normale" nell'ufficio di Gualandi, senza capire cosa dicesse e senza sentire rumori che potessero far pensare ad una colluttazione, finché non udì lo sparo. La testimone aggiunse anche: "Nonostante non lavorasse più lì, Sofia Stefani veniva in ufficio una o due volte a settimana, ma pensavo che andasse da Gualandi per questioni sindacali. Credevo che lui, come sindacalista, stesse aiutando lei, che era stata licenziata.".[23][22]
Nell'udienza del 28 aprile 2025 furono ascoltati diversi testimoni. La prima era la moglie dell'imputato che spiegò, rispondendo alle domande della procuratrice aggiunta Lucia Russo, quando aveva scoperto la relazione extraconiugale del coniuge con Sofia Stefani: «L'ho scoperto il 29 aprile 2024, ma il sospetto l'avevo avuto il giorno prima, il 28, quando mio marito non stava bene, sembrava avere un infarto. Siamo andati al pronto soccorso, e sentii che al telefono diceva "non ti preoccupare, sono stato accompagnato dagli amici di Rimini, lasciami stare, lasciami in pace". Lui accorgendosi che c'ero io, ha chiuso la chiamata, e ho visto che c'era scritto "Stefani Pm"».[24]
Nei giorni successivi, ha proseguito la donna, Gualandi "ammise la relazione, dicendo di averla interrotta a febbraio, però la signora Stefani insisteva perché lui se ne andasse di casa per andare a vivere con lei". In ogni caso, "lui mi disse che aveva già fatto la sua scelta, concludendo la relazione", anche se poi la PM Russo fece notare alla teste che, in realtà, il rapporto tra i due proseguì anche successivamente alla scoperta della moglie. Quest'ultima, in aula, aggiunse che «sempre in quei giorni, la signora Stefani "chiamava ripetutamente al telefono mio marito", tanto che, a un certo punto, "gli dissi di rispondere e di mettere in viva voce"».[25]
«Lei era arrabbiatissima – disse la moglie – e lui le ha ripetuto che aveva fatto la sua scelta. Lei allora ha detto "vuoi stare con quella lì?", usando un termine dispregiativo nei miei confronti, e disse una cosa come "allora come la mettiamo con il figlio che ho in grembo?"». In quel momento, precisò la teste, il marito le fece un cenno, come per dire che era impossibile e Stefani stava mentendo. «Allora io le ho detto "faremo il test del DNA", ma lei ha risposto "no, vediamoci adesso per chiarire"». Un incontro che però, nonostante le insistenze della trentatreenne, non era mai avvenuto.[25]
Poi in aula fu chiamata a deporre un'amica della vittima, che riferì: "Sofia Stefani e Gualandi litigavano spesso. Sapevo che i loro rapporti erano molto tesi e caratterizzati da improvvisi litigi". A titolo d'esempio, la teste aveva citato due episodi. Una volta la vigile le raccontò che Gualandi «le aveva detto: "Guarda che ho una pistola". Io le dissi di stare attenta, ma lei mi rispose: "Ma figurati, scherza, se ne dicono tante"». In un'altra occasione, aggiunse, "Sofia mi disse che Gualandi le aveva rotto un dente durante una lite". La trentatreenne, dichiarò poi l'amica, "ammirava l'abilità di Gualandi con le armi, faceva parte della sua venerazione, o ammirazione, per lui".[26]
Nella stessa udienza avevano testimoniato anche il fidanzato della donna e l'ex amante di lei. Il primo iniziò descrivendo la loro relazione: "Convivevo con Sofia, mi prendevo cura di lei, mi ero fatto carico del suo disturbo di personalità, era bipolare. Le consigliai di rivolgersi al Centro di Salute Mentale, può essere logorante stare con una persona così, ma la sua gioia di vivere contagiava anche me". Tra loro, ha aggiunto l'uomo, c'erano dei litigi dovuti ai problemi della compagna: "Talvolta lei urlava di brutto e ho preso qualche ceffone, ma non reagivo. Cercavo di calmarla, poi lei crollava, mi abbracciava e mi chiedeva scusa".[24]
Il teste aveva riportato anche un episodio che riguardava l'imputato: «Una sera Sofia tornò a casa e mi disse che era andata dal dentista perché Gualandi, durante una discussione e una colluttazione, le aveva dato un ceffone e le aveva rotto un dente che già in passato le si era spezzato». Poi, in un'altra occasione, «Sofia mi riferì una frase inquietante detta da Gualandi. Poiché non sopportava le colleghe, soprattutto la comandante Fiorini, disse "Quando prenderò il potere, le farò morire senza morire..."».[26]
Alle domande dell'accusa e dei legali di parte civile sulla natura del rapporto tra la vittima e l'imputato, il fidanzato rispose in aula: «Lei lo chiamava "il mio nonnino", lui le aveva fatto diverse promesse di lavoro. Il piano era che dopo le elezioni comunali di Anzola del 2024, se avesse vinto il centrosinistra, il sindaco avrebbe scorporato i comandi di Polizia locale di Sala Bolognese e Anzola, nominando lui comandante, che le aveva promesso di affidarle un incarico amministrativo. Ma poiché la graduatoria nella quale Sofia era vincitrice stava per scadere, lei si era rimessa a studiare per superare il concorso in un altro Comune, perché Gualandi le aveva detto che poteva essere ripescata anche da un'altra graduatoria».[26]
Successivamente fu il turno dell'ex amante della vittima, che descrisse il rapporto con la vigile, durato dal 2017 fino a poco prima della pandemia di Covid 19, e caratterizzato in due fasi. "Una volta eravamo in intimità e le stavo facendo il solletico, lei si arrabbiò moltissimo e iniziò a picchiarmi. Io la tenni ferma, cercando di calmarla, e per questo le causai dei lividi sui polsi. Lei andò a farsi refertare e mi minacciò, dicendo che mi avrebbe denunciato se non avessi continuato la relazione con lei. Così mi ritrovai a farle da cavalier servente" nel periodo successivo.[24]
Poi l'uomo raccontò in aula di aver provato, in ogni modo, a sganciarsi da lei: "Volevo chiudere, ma lei mi scriveva con un account falso e me la ritrovavo davanti al lavoro, dove mi inseguiva, mi filmava, mi fotografa. E anche davanti casa, una volta anche alla partita di basket di mio figlio". Successivamente, dopo una sospensione di circa un anno, era ripresa in parte la loro relazione, che sarebbe entrata in una "fase diversa", in cui lui era diventato una sorta di "tutore" per aiutare la donna nella preparazione dei concorsi.
L'ex amante descrisse poi il periodo antecedente all'omicidio: «Sofia stava tranquilla anche per due o tre mesi, e poi un giorno invece partiva all'improvviso con un flusso di chiamate... voleva interagire con me per parlare di lavoro o perché la portassi fuori a cena. Dopo la tranquillità c'erano questi "picchi" improvvisi, come una marea». Infine, il teste riportò un aneddoto: "Mi ero anche rivolto a un centro antiviolenza" per le "continue aggressioni di Sofia", ma "mi hanno riso in faccia perché sono un uomo grande e grosso".[24]
Nell'udienza del 7 luglio 2025 testimoniò in aula il comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri di Bologna, al quale la procuratrice domandò se il fatto che ci fosse ancora un proiettile dentro la pistola di Gualandi potesse aver creato un pericolo agli operatori intervenuti alla sede del Comando di Polizia locale di Anzola Emilia. Il militare rispose: "Certo, perché era un'arma pronta a sparare, il proiettile era incamerato e il cane era armato. Fino a sera è rimasta carica, senza che Gualandi dicesse niente agli operatori".
Durante l'udienza era anche emerso che, nel corso del primo colloquio in carcere con la moglie – tenutosi il 15 giugno 2024 – il sessantatreenne era intercettato. Alla domanda della donna se le chat tra lui e Sofia Stefani avrebbero potuto danneggiarlo, Gualandi rispose che le aveva cancellate e non sarebbe stato possibile recuperare quelle conversazioni sul suo telefono perché «Whatsapp non concede i permessi». Le chat, però, furono comunque recuperate dal cellulare della vittima.
A tal proposito, il comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri di Bologna precisò: «l'imputato sapeva benissimo quanto fossero importanti quelle chat, per questo le cancellò». Secondo la pubblica accusa, quelle conversazioni furono cancellate dal sessantatreenne poco prima che Stefani arrivasse nel suo ufficio e poco prima che fosse uccisa dal colpo sparato dalla pistola d'ordinanza.[27]
Il 17 luglio 2025 ci fu la testimonianza in aula di Gualandi. L'uomo, dinanzi alla Corte, chiese scusa ai familiari della vittima, poi parlò della dinamica degli eventi. A suo dire, il 16 maggio 2024, Sofia Stefani era entrata nell'ufficio del Comando di Polizia di Anzola e, molto arrabbiata, iniziò a insultarlo, poi lo colpì con un ombrello e a calci. Da lì sarebbe nata la colluttazione, culminata nello sparo, a detta dell'imputato, accidentale. "Sofia era con entrambe le mani sulla pistola – disse Gualandi – e io continuavo a tenerla a distanza. Questo movimento ha determinato una torsione della sedia e, per qualche secondo, c'è stato un tira e molla. Io guardavo lei e tiravo indietro, poi ho sentito lo scoppio. Non potevo pensare che l'arma avesse potuto sparare. Ho confusione sulla presenza del caricatore... ma era inserito, su questo non discuto".
La testimonianza si soffermò anche sulla relazione tra l'ex comandante e la vittima: "Lei mi chiedeva suggerimenti, si rivolgeva a me sempre più spesso. Fino al momento in cui è nato un vero e proprio provvedimento disciplinare. Il nostro rapporto si è evoluto, lei ha avuto sempre maggiore fiducia in me... e ne è nato un rapporto di natura sessuale, all'incirca all'inizio del 2023". Gualandi precisò che Stefani lo chiamava frequentemente: «Tutte le volte che mi chiamava, era perché non era tranquilla rispetto a ciò che i colleghi avevano deciso di farle fare. In generale, era in ansia per il fatto che la potessero mettere in cattiva luce, non si sentiva tranquilla. Io le dicevo: "Fai quello che ti dicono, sei qui per imparare". Mi telefonava ogni giorno, continuamente».

Uno scorcio della Chiesa dei Santi Nicolò e Agata a Zola Predosa in provincia di Bologna, dove sono stati celebrati i funerali di Sofia Stefani (su concessione di BeWeB - Beni Culturali Ecclesiastici in Web)
L'uomo però, continuando nella sua deposizione in aula, aveva deciso di troncare quel rapporto: "Il 30 aprile 2024 avevo confessato tutto a mia moglie. In quel periodo avevo avuto modo di riflettere su tutto quello che avevo fatto, sul male che avevo fatto a mia moglie, e anche su quello che avevo fatto a Sofia. Sofia diceva che io la amavo e che eravamo fatti per stare insieme. Poi la mattina del 4 maggio, lei mi affianca in scooter, mi chiede di parlare. Successivamente l'ho chiamata per vederci, le ho spiegato da capo tutte le motivazioni alla base della mia presa di coscienza... sul fatto che la nostra relazione non potesse assolutamente continuare. Ma lei non lo accettava e mi ha insultato".
"Allora ho iniziato a elaborare un cambio di strategia – continuò Gualandi dinanzi alla Corte –. Le ho detto che le volevo bene e che sarei rimasto suo amico, e che per lei avrei fatto quello che potevo per aiutarla. Ho cambiato metodo di comunicazione. Dato che non capiva che la relazione non poteva continuare, ho pensato di spostare tutto sulla mia persona, dicendo il disagio che provavo. Lei mi voleva bene ed ero convito che avrebbe capito. Aveva 30 anni e un'esuberanza elettrizzante, magari avrebbe capito".[28]
Nell'udienza del 15 settembre 2025, l'imputato tornò a testimoniare in aula e aggiunse: "Per quanto fossi sentimentalmente legato a Sofia, non potevo pensare di lasciare la mia famiglia, ma lei rifiutava la mia decisione di lasciarla, si sentiva presa in giro, e senza il mio appoggio aveva paura di perdere il lavoro. Avrei dovuto evitare l'inizio di una relazione con lei, i 30 anni di differenza, il ruolo e il fatto che avessi una famiglia avrebbe dovuto spingermi a ragionare da persona matura. Invece, nonostante i miei 63 anni, non l'ho fatto". L'uomo, poi, ribadì la propria responsabilità: "È morta per colpa mia, ma non l'ho uccisa intenzionalmente".[29]