Voce su Roua Nabi

Uno scorcio dall'alto di Torino (di Uccio D'Ago, licenza CC BY-SA 3.0)
Roua Nabi, 34 anni, fu uccisa nel corso della notte tra il 23 e il 24 settembre 2024 a Torino. La donna, originaria della Tunisia, fu aggredita a coltellate in casa dall'ex compagno connazionale Ben Alaya Abdelkader, 48 anni. L'atto violento si consumò poco prima di mezzanotte nell'abitazione di via Francesco Cigna, tra i quartieri di Aurora e Barriera di Milano, dove la vittima risiedeva.[1][2]
A lanciare l'allarme sarebbero stati alcuni vicini, allertati dalle urla della donna e dei suoi due figli adolescenti. Sul posto giunsero i Carabinieri e i sanitari del 118 e della Croce Verde di Villastellone. La trentaquattrenne respirava ancora, seppur in condizioni molto critiche, ma perse la vita poche ore dopo all'ospedale di San Giovanni Bosco, dove era stata trasferita. Ben Alaya Abdelkader nel frattempo era scappato dall'abitazione, ma i militari riuscirono a rintracciarlo e bloccarlo. L'uomo fu sottoposto ad arresto con l'accusa di omicidio volontario.
La coppia era sposata, ma in fase di separazione. I due da tempo non vivevano più sotto lo stesso tetto. La donna aveva presentato una denuncia ai Carabinieri contro l'ex compagno il precedente 30 giugno. Nelle dichiarazioni ai militari, la trentaquattrenne avrebbe riferito di essere vittima di violenze fisiche e verbali: "Mi maltrattava almeno due volte al mese. Mi lanciava piatti e sedie addosso, poi mi afferrava la testa e me la piegava, oppure mi piegava il braccio e me lo girava facendomi male. Mi ha anche detto che suo fratello sarebbe venuto in Italia e mi avrebbe ammazzato".[3]
Per l'uomo fu disposta la detenzione in carcere, poi modificata, dal mese di agosto, nella misura cautelare del divieto di avvicinamento alla vittima con l'applicazione del braccialetto elettronico. Il dispositivo, però, era fuori uso la sera del delitto. Si ipotizzò che la donna, in accordo con l'ex compagno, avesse disattivato l'applicazione presente sul suo smartwatch antiviolenza. In ogni caso, il braccialetto elettronico avrebbe dovuto comunque funzionare e segnalare la presenza di Abdelkader nella casa di via Cigna.[3]
La sera del 23 settembre 2024, fra le mura domestiche, si verificò un'ennesima lite, fatale per la trentaquattrenne. Nell'abitazione erano presenti anche i figli, un maschio ed una femmina, che avrebbero assistito all'aggressione mortale. I giovani si recarono poi all'esterno per chiedere aiuto ai vicini. Dopo l'arresto del padre, il ragazzo e la ragazza furono affidati ad una comunità protetta.
Nell'interrogatorio dinanzi agli inquirenti, dopo l'arresto da parte dei Carabinieri, Abdelkader avrebbe ricostruito parte di quanto era successo nell'incontro con l'ex compagna nella casa di via Cigna: «Ho sgridato mia figlia e Roua ha detto "Zitto o chiamo la Polizia". Poi se l'è presa con l'altro figlio e ha tirato un pugno anche a me. Io mi sono agitato e l'ho accoltellata. Non sono scappato dopo le coltellate. Sono andato dai Carabinieri, ma in caserma non rispondeva nessuno, così sono corso dai Vigili urbani per avvisarli».[4] L'uomo avrebbe anche rivelato che la moglie lo aveva perdonato nel corso delle vacanze trascorse insieme, dopo che il quarantottenne era uscito dal carcere.[3]
Al termine dell'udienza di convalida dell'arresto, il giudice dispose la permanenza in carcere per Abdelkader.[5] Nel marzo del 2025, dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Torino, l'uomo fu rinviato a giudizio per omicidio volontario, maltrattamenti in famiglia e violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall'ex compagna.[4]
Dalle ricostruzioni degli inquirenti era anche emerso che il braccialetto elettronico, indossato da tunisino, aveva lanciato quattro alert, rimasti però ignorati dalle forze dell'ordine e non presi in carico dalla sala operativa. In particolare, nel pomeriggio del 23 settembre 2024, Roua Nabi aveva accettato di far entrare l'ex compagno in casa per mangiare e farsi una doccia, dato che viveva in auto per strada. Poche ore dopo, il braccialetto aveva generato quattro allarmi: alle 18:18, le 18:32, le 21:06 e le 21:38. L'ultimo alert era partito un'ora e mezza prima dell'omicidio, eppure nessuno intervenne.[6][7]
Nonostante ciò, il Procuratore aggiunto di Torino, Cesare Parodi, nel corso del processo di primo grado affermò: "I braccialetti sono come i cellulari, vanno ricaricati. Nel caso di Roua Nabi il braccialetto non è stato caricato né dall'imputato, né dalla donna". Il PM aggiunse anche: "Noi cerchiamo di dare la tutela massima alle persone offese, ma possiamo pensare che questa donna non abbia in qualche modo rischiato la vita sapendo che il braccialetto era scarico? Se lei lo avesse caricato sarebbe scattato l'allarme e lui sarebbe andato in carcere", sottolineando tuttavia che il rischio di un epilogo violento, considerate le dinamiche di quel rapporto, sarebbe rimasto comunque alto.
Alle parole del PM aveva replicato l'avvocata di parte civile Stefania Agagliate, che assisteva la madre della vittima nel corso del dibattimento: "Roua Nabi aveva denunciato il suo futuro assassino, che era violento e che nessuno ha fermato. La reiterazione delle sue violenze e anche l'escalation sono agli atti. Questa donna è stata tradita due volte: dal marito che l'ha uccisa e dallo Stato che non l'ha protetta. Leggete i report del braccialetto elettronico. Aveva suonato anche la sera del femminicidio, per due volte, ma nessuno è intervenuto".[8][9]
Nella stessa udienza, Ben Alaya aveva rilasciato alcune dichiarazioni spontanee: "Io non so usare il coltello", smentendo parzialmente quanto riferito ai militari dopo l'omicidio e sostenendo di non ricordare esattamente cosa fosse successo la sera del 23 settembre 2024. L'uomo descrisse anche il suo rapporto con Roua, definito "inizialmente felice", ma deteriorato nel tempo, soprattutto dopo la nascita dei figli e il desiderio della donna di tornare in Tunisia. Infine avrebbe anche menzionato un presunto tradimento da parte della trentaquattrenne, scoperto attraverso un video consegnatogli da una conoscente.[10]
Il 28 aprile 2025 la Corte d'Assise di Torino, in accoglimento della richiesta di pena avanzata dalla pubblica accusa, aveva condannato Ben Alaya Abdelkader all'ergastolo.[8][9]