Voce su Maria Sestina Arcuri
Maria Sestina Arcuri, 25 anni, perse la vita il 5 febbraio 2019 all'ospedale Belcolle di Viterbo.[1] Originaria di Nocara in provincia di Cosenza, si era trasferita a Roma per lavorare come parrucchiera. Lì aveva conosciuto Andrea Landolfi Cudia, 30 anni, un operatore socio sanitario con il quale aveva iniziato una relazione. L'uomo era separato e dal precedente matrimonio aveva avuto un figlio di 5 anni.
La Chiesa Madre di Nocara, intitolata a San Nicola di Bari, dove sono stati celebrati i funerali di Maria Sestina Arcuri (di Domenico Pittino, licenza CC BY-SA 3.0)
Maria Sestina trascorse un week-end come ospite nell'abitazione della nonna del fidanzato a Ronciglione, un comune in provincia di Viterbo. Landolfi, interrogato dai Carabinieri in seguito al drammatico avvenimento, dichiarò che lui e la compagna il 3 febbraio 2019 avevano passato la serata fuori casa. Nelle prime ore del 4 febbraio, durante la notte, i due fecero ritorno nell'abitazione ma, accidentalmente, nell'accedere alla mansarda caddero entrambi dalle scale. Nell'appartamento erano presenti anche la nonna e il figlio dell'uomo che avrebbero assistito all'episodio.
La caduta fu rovinosa, ma nonostante ciò tutti e due andarono a dormire. Purtroppo però nelle ore successive la ragazza iniziò a sentirsi male. Così verso l'alba il compagno chiamò il servizio sanitario d'urgenza e la venticinquenne fu trasportata all'ospedale. Arrivata al pronto soccorso, i medici notarono che era già in coma e ulteriori accertamenti consentirono di rilevare la presenza di un grave trauma cranico. Di conseguenza Maria Sestina fu sottoposta a un delicato intervento chirurgico, ma ciò non bastò per salvarle la vita: la mattina del giorno seguente, 5 febbraio, fu dichiarato il suo decesso. Gli inquirenti ebbero diverse perplessità sulla versione fornita da Landolfi, dunque la Procura lo iscrisse nel registro degli indagati.[2][3]
Il successivo 15 marzo i magistrati chiesero l'arresto del trentenne con l'accusa di omicidio volontario. Secondo gli investigatori, l'uomo era responsabile della morte della fidanzata. Il suo racconto e la testimonianza della nonna in suo favore non avrebbero avuto riscontri con la verità dei fatti. Tuttavia il provvedimento di misura cautelare non fu eseguito poiché il 15 aprile il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Viterbo, che esaminò la proposta, respinse la richiesta. Ma la Procura pochi giorni dopo presentò un ricorso al Tribunale del Riesame di Roma.[4]
Il successivo mese di giugno il Tribunale del Riesame giudicò valida l'istanza della Procura, pronunciandosi favorevole all'arresto di Landolfi. Oltre all'accusa di omicidio volontario, sull'indiziato pendeva anche quella di omissione di soccorso: l'operatore socio sanitario avrebbe chiamato troppo in ritardo i soccorsi dato che la vittima era arrivata all'ospedale già in stato di coma. Però anche in questo caso il provvedimento di custodia cautelare non fu eseguito poiché il legale dell'accusato presentò ricorso in Cassazione.[5] In definitiva, il 25 settembre 2019 la Suprema Corte dichiarò inammissibile il ricorso, convalidando il trasferimento in carcere dell'indagato.[6]
Tra i vari elementi alla base della decisione vi era anche l'esito dell'autopsia svolta sulla salma della venticinquenne. In particolare la ferita riportata dalla giovane sarebbe stata causata da una caduta dall'alto e non da un rotolamento lungo la scalinata. Sarebbe stato dunque il fidanzato a spingerla intenzionalmente giù dalle scale provocandole il grave trauma cranico che le stroncò la vita.[5][7] Un altro fondamentale tassello per la ricostruzione della vicenda giunse dall'esito dell'audizione alla quale fu sottoposto il figlio di Ladolfi durante le indagini. Nel colloquio alla presenza di una psicologa, il bambino di 5 anni avrebbe ricostruito la dinamica del delitto mimando la caduta di Maria Sestina con un peluche. Nella scena la donna avrebbe respinto il tentativo di abbraccio del padre, in seguito lui l'avrebbe sollevata oltre il parapetto per poi lasciarla cadere.
Secondo la Procura tale racconto sarebbe una testimonianza dell'omicidio aggravato dai futili motivi. Di avviso opposto invece il legale di Landolfi che aveva ritenuto tale audizione non valida per due ragioni: l'età del minorenne e il fatto che l'audizione sia stata svolta al di fuori dell'istituzione di un incidente probatorio, dunque gli elementi raccolti non sarebbero considerabili come prova.[8] Nonostante ciò, il Tribunale del Riesame e la Cassazione avevano ritenuto idonea la testimonianza del minore. Per la difesa tuttavia il bambino, incalzato da specifiche domande, sarebbe stato influenzato e suggestionato, dunque la sua deposizione non sarebbe lineare, né corretta, né genuina.[9]
Dopo la chiusura delle indagini, la Procura di Viterbo ottenne il rinvio a giudizio dell'imputato. Il trentenne era stato anche accusato di lesioni aggravate nei confronti della nonna di 80 anni, che lo ospitava in casa insieme alla fidanzata.[10][11] In particolare, l'uomo l'avrebbe percossa fino a fratturarle tre costole mentre l'anziana cercava di soccorrere la venticinquenne.[7] Durante il processo era emerso che Sestina e il fidanzato avevano litigato numerose volte per il vizio di lui di bere troppo. La dipendenza dall'alcol causava in Landolfi uno stato di alterazione tale da renderlo molto aggressivo e violento.[12]
In un'udienza del marzo 2021, l'imputato aveva testimoniato dinanzi alla Corte ribadendo la propria innocenza e sostenendo che da parte sua non c'era stata alcuna volontà di far del male alla fidanzata. Fra lui e lei c'erano stati diversi battibecchi nel corso della serata del 3 febbraio 2019, trascorsa in un locale dove avevano bevuto. Discussioni che si erano protratte fino al ritorno a casa quando, sulla scala, la ragazza lo spinse ed entrambi caddero. Nell'impatto sui gradini fu la giovane ad avere la peggio.[13]
Una ricostruzione corroborata anche dai consulenti della difesa che avevano sostenuto che il modello matematico applicato dai Ris nelle simulazioni della caduta nella casa di Ronciglione era errato poiché la vittima fu considerata come un corpo monodimensionale piuttosto che un corpo umano. Se la venticinquenne fosse precipitata seguendo la traiettoria suggerita dalla pubblica accusa, avrebbe urtato contro degli oggetti presenti al piano terra, che invece erano rimasti intatti. Inoltre i segni rinvenuti sul muro, riconducibili allo sfregamento degli indumenti di Sestina, e la scheggiatura del terzo gradino della rampa di scale al piano inferiore indicherebbero che l'unica dinamica dimostrabile sarebbe quella del rotolamento, raccontata da Landolfi.[14][15]
La Procura di Viterbo aveva richiesto la condanna a 25 anni di reclusione per l'imputato con il riconoscimento delle attenuanti. Per la pubblica accusa, l'omicidio sarebbe riconducibile alla contrapposizione dell'uomo nei confronti della fidanzata, che aveva già preso la decisione di lasciarlo a causa dei suoi comportamenti ritenuti inopportuni e alle molteplici promesse di cambiare atteggiamento non mantenute.[16]
Il 19 luglio 2021 la Corte d'Assise di Viterbo aveva assolto Andrea Landolfi dalle accuse di omicidio volontario e omissione di soccorso, ritenendo dunque la morte della vittima come conseguenza di una caduta accidentale. Lo stesso ex pugile fu tuttavia condannato a 4 anni di reclusione per le lesioni alla nonna Mirella Iezzi.[17][18]
Nelle motivazioni della sentenza la Corte giudicò le perizie svolte dagli investigatori non sufficienti per determinare con ragionevole certezza la responsabilità dell'imputato. Fu confermata invece l'impossibilità che la vittima possa essere stata lanciata oltre la balaustra della scala della mansarda della signora Iezzi a Ronciglione. L'episodio dunque fu un tragico incidente in cui entrambi i fidanzati caddero rovinosamente lungo la rampa delle scale e la venticinquenne calabrese rimediò un trauma cranico, rivelatosi fatale.[19][20]
Il 21 dicembre 2022, però, la Corte d'Appello di Roma ribaltò il verdetto e condannò Landolfi a 22 anni di reclusione.[21][22] Secondo le motivazioni della sentenza di secondo grado, la serie di comportamenti tenuti dall'ex operatore socio sanitario nel corso della notte tra il 3 e il 4 febbraio 2019 sarebbero stati indirizzati nella volontà diretta di uccidere Maria Sestina. L'ipotesi della caduta accidentale fu considerata contraria alla logica, dunque l'uomo avrebbe intenzionalmente lanciato la compagna dalle scale della casa di Ronciglione: un'azione che difficilmente avrebbe lasciato scampo alla vittima, priva di riparo e difesa.
I giudici sottolinearono anche la condotta successiva alla caduta, caratterizzata dalla mancata assistenza alla venticinquenne. Infatti Landolfi, nelle quattro ore intercorse tra il ferimento e la chiamata al pronto intervento sanitario, avrebbe volutamente omesso qualsiasi iniziativa per soccorrere la giovane, completando la sua condotta omicidiaria. Da parte della nonna Mirella Iezzi, inoltre, sarebbero state rilasciate "menzognere dichiarazioni" finalizzate alla composizione di un "puzzle" utile per favorire la versione del nipote.[23][24]
Uno scorcio del borgo medievale di Ronciglione (di Hindol Bhattacharya, licenza CC BY-SA 2.0)
I difensori dell'uomo tuttavia non si arresero a tale ricostruzione e presentarono il ricorso in Cassazione.[21][22] Il 9 novembre 2023, però, la Suprema Corte confermò in via definitiva la condanna a 22 anni per Andrea Landolfi, riconoscendo la sua responsabilità nel cagionare la morte della compagna.[25][26]
Secondo le motivazioni della sentenza definitiva, il percorso argomentativo usato dalla Corte d'Appello di Roma – nel precedente grado di giudizio – fu "ineccepibile" nel ritenere che la tesi della natura accidentale della caduta della vittima fosse smentita dagli elementi probatori acquisiti nel giudizio di merito, tra i quali si attribuiva un rilievo decisivo agli esiti delle consulenze tecniche del Pubblico Magistrato. Infatti, le lesioni personali riportate da Maria Sestina Arcuri in seguito alla caduta erano "incompatibili con uno scivolamento lungo le rampe delle scale, imponendo, al contrario, di ritenere che si fosse verificato un impatto violento dell'area cranica della venticinquenne contro una superficie piana e anelastica, provocato da una caduta del corpo, a testa in giù, privo di difese".
La tesi dello "scivolamento accidentale" era incompatibile anche con "le gravissime lesioni riscontrate sulla scatola cranica e sul polmone sinistro della vittima, che potevano essere giustificate solo da una precipitazione dall'alto del corpo inerte, che impattava violentemente al suolo con la testa". Sempre secondo la Suprema Corte, in tale "univoca cornice" l'ipotesi alternativa "finalizzata a prefigurare la caduta accidentale della giovane o comunque non volontariamente provocata dall'imputato, oltre che smentita dagli esiti delle consulenze tecniche, si sarebbe inevitabilmente posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità consolidata".[27]