Voce su Daniela Gaiani
Daniela Gaiani, 58 anni, fu trovata morta il 5 settembre 2021 nell'abitazione in cui risiedeva a Castello d'Argile in provincia di Bologna.[1]
Il marito Leonardo Magri, 53 anni, disse di essere tornato a casa a notte fonda e, nel buio, si era coricato nel letto matrimoniale al fianco della moglie, senza accorgersi di nulla in particolare. Poi la mattina seguente, appena svegliato, aveva trovato la cinquantottenne con una corda al collo e l'estremità della fune legata alla spalliera del letto. L'uomo sciolse la corta e tentò di rianimarla, ma la donna era già morta da ore.
Magri chiese l'intervento dei soccorsi e raccontò di aver trovato la coniuge suicida. Sul caso fu aperta un'inchiesta da parte della Procura di Bologna. Inizialmente fu avvalorata l'ipotesi del gesto estremo: la vittima avrebbe sofferto di depressione e il marito riferì di un altro tentativo di suicidio già avvenuto in passato.
Uno scorcio della Chiesa di San Pietro Apostolo a Castello d'Argile in provincia di Bologna (di Ingo Mehling, licenza CC BY-SA 4.0)
Nei mesi successivi, però, Leonardo Magri fu iscritto nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio volontario. Vari aspetti misero in dubbio la ricostruzione fornita dal cinquantatreenne. L'uomo, dopo aver chiamato i soccorsi, aveva mostrato la corda soltanto in un secondo momento, raccontando che la moglie l'aveva usata per togliersi la vita.
L'esame autoptico aveva stabilito il decesso per asfissia da strangolamento. Però la perizia tossicologica rilevò che la vittima, prima di morire, aveva assunto alcol e psicofarmaci, a tal punto da non avere la forza di stringere la corda per suicidarsi. Infatti, gli esami del Ris dei Carabinieri avevano appurato che la corda non fu mai messa in tensione. Inoltre, secondo la perizia cinematica, la signora Gaiani non poteva essere morta nel letto, perché la posizione del corpo indicava che la donna fosse stata spostata prima che subentrasse la rigidità cadaverica.
Le indagini scoprirono anche che Magri portava avanti una relazione extraconiugale con un'altra donna e, la notte del delitto, il cinquantatreenne era uscito proprio con lei. Secondo le testimonianze e le parole della stessa amante, ascoltata dai Carabinieri, la gestione di quella relazione era diventata difficile per l'uomo, pressato da lei affinché lasciasse la moglie. L'indagato, convocato diverse volte dagli inquirenti, rispose alle domande e ribadì la versione del suicidio, respingendo le accuse mosse a proprio carico.
Nel maggio del 2024 la Procura chiuse le indagini e confermò nei confronti dell'indiziato il capo d'imputazione di omicidio volontario aggravato. Secondo la pubblica accusa, l'uomo aveva ucciso la moglie per poi simulare un suicidio allo scopo di sbarazzarsi di lei e vivere liberamente la relazione sentimentale che aveva con l'amante. Magri continuò a negare gli addebiti, sostenendo di aver trovato la moglie già morta nel letto e, dunque, non poteva averla uccisa.[2][3]
Il mese successivo, a conclusione dell'udienza preliminare, l'uomo fu rinviato a giudizio. Nei suoi confronti furono contestate le aggravanti dalla relazione sentimentale e dei futili motivi.[4] Nelle prime battute del processo, celebrato alla Corte d'Assise di Bologna, era emerso che la sera del 4 settembre 2021 il cellulare di Gaiani fu spento, con un'operazione richiesta dall'utente, alle ore 23:36, agganciando una cella telefonica ritenuta competente circa l'abitazione della vittima. L'accertamento fu possibile grazie ad una revisione delle copie forensi, attraverso un software di ultima generazione.[5]
Tale dato sarebbe stato in contrasto con le risultanze delle indagini, poiché alle 23:36, sempre secondo le analisi sui telefoni, il marito si trovava altrove e non sarebbe rientrato in casa prima delle ore 02:40. Contestualmente, l'orario presunto della morte della signora Gaiani fu fissato dal consulente medico legale tra le 21:00 e le 24:00 del 4 settembre 2021, per i residui di cibo trovati nello stomaco, sulla base di un orario di cena indicato da Magri.
Per il legale della difesa, quella nuova acquisizione istruttoria "poneva fine alla vicenda processuale in quanto, con la prova oggettiva, Magri in quei momenti non si trovava nemmeno nelle vicinanze della vittima, dunque veniva meno qualsiasi fondamento dell'accusa". Per i legali di parte civile, però, quegli accertamenti "non dimostravano nulla, poiché le celle telefoniche erano per loro natura imprecise e, per di più, ce ne erano due molto ravvicinate nel territorio, oltre al fatto che non erano indicative di dove si trovasse un dispositivo".[5]