Voce su Rossana Jane Wade

Uno scorcio dell''Abbazia di Chiaravalle della Colomba ad Alseno in provincia di Piacenza (di Parma1983, licenza CC BY-SA 4.0)
Nella notte tra il 1º e il 2 marzo 1991, tra le due e le tre del mattino, Rossana Jane Wade, diciannovenne, fu uccisa dal fidanzato Alex Maggiolini, un milanese di 20 anni.
Il suo corpo, seminudo, venne scoperto praticamente subito, la mattina stessa di quel sabato 2 marzo, alle 8:30, dal conducente di una pala meccanica che stava lavorando sulla strada che da Chiaravalle di Alseno portava a Fiorenzuola d'Arda in provincia di Piacenza.
Il povero corpo della ragazza fu abbandonato all'interno di un casello ferroviario, in una stanza al piano terra. Probabilmente però il delitto non si consumò nel luogo del ritrovamento del cadavere, ma all'interno della macchina del giovane. L'omicidio avvenne per strangolamento, pare, prima con un laccio, poi a mani nude. Il vestito della ragazza era strappato, quasi a voler far pensare ad una violenza sessuale, anche se l'autopsia non rivelò segni di stupro. Il corpo presentava dei graffi, delle lesioni, procurate dall'assassino forse nel toglierle i vestiti.
Il fidanzato, dopo il rinvenimento del cadavere, fu prelevato da casa, già la mattina del 3 marzo, dai Carabinieri, nella sua abitazione a Milano. Venne portato nella caserma di via Moscova per l'interrogatorio e trasferito poi nel carcere di San Vittore, dove il 6 marzo, il fermo fu tramutato in arresto.[1]
A distanza di tanti anni, in un'intervista telefonica del 25 novembre 2022, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, la mamma di Rossana Wade disse: "il dolore non passa, non può trasformarsi, il tempo si è fermato". Le parole sono di Letizia Marcantonio, 79 anni, una donna che nonostante l'età ha sempre cercato, dopo la morte della figlia, di promuovere una cultura e una giustizia migliore, a tutela delle donne vittime di violenza.
Durante l'intervista aveva ricordato sua figlia, la sua tenera età, 19 anni, il cui sogno era quello di diventare poliziotta e che avrebbe iniziato di lì a poco, un corso di preparazione al concorso. Era un suo desiderio, immaginava il suo futuro in Polizia e questo probabilmente fu la ragione della sua fine. Il fidanzato era un prepotente, geloso, possessivo e legato, secondo la mamma, ad un brutto giro. Rossana, entrando in Polizia, sarebbe potuta diventare un ostacolo per lui.
Nel suo racconto ripercorse quelle che furono le ultime ore della figlia. Ai tempi i genitori erano già separati e la giovane viveva con il padre ad Alseno. Alex si presentò davanti alla porta di casa, dicendo di aver girovagato tutta la notte, e secondo la mamma della ragazza, lui stava già progettando tutto.
Rossana lavorava in un circolo per anziani e la sera di quel venerdì primo marzo, avrebbe finito a mezzanotte. Lui l'aspettava fuori dal circolo e, dopo aver mangiato una pizza, erano tornati ad Alseno. La mattina la tragica scoperta. La mamma della ragazza, ricordava di essere andata a fare la spesa e al rientro una vicina le disse che la Polizia era stata in zona. Dopodiché il riconoscimento. Raccontò che il fidanzato aveva in tasca ancora lo scontrino della pizzeria: conto pagato dalla figlia.
Dopo tanti anni aveva ricevuto un indennizzo di 100.000 euro, come orfana di figlia. La vicenda rappresentò un "leading case", in quanto ottenne un indennizzo superiore al tetto di 60 mila fissato dalla legge italiana per figli o parenti stretti di vittime uccise da partner o ex compagni.[2][3]
Indennizzo che fu possibile per l'inadempimento dell'Italia ad una direttiva europea, la n. 80 del 2004, per cui fu presentato ricorso, che conferiva alle vittime di reati internazionali violenti, alle quali non era stato possibile conseguire il risarcimento del danno dal reo, perché in questo caso nullatenente, il diritto a percepire dallo Stato membro di residenza un indennizzo equo e adeguato. Tale indennizzo venne stabilito il 7 giugno 2016, con sentenza del giudice civile di Bologna, Alessandra Arceri, che ebbe parole molto dure in relazione al detto adempimento.
La madre della vittima aveva chiesto 250 mila euro per l'inadempimento dello Stato italiano della norma dell'Unione Europea. Il giudice Arceri, ritenne corretta la pretesa risarcitoria, ricordando che la Commissione europea aveva indirizzato nel 2013 un parere motivato all'Italia accusandola di non avere adottato i provvedimenti necessari per modificare la legge e ottemperare dunque agli obblighi della normativa europea.
In particolare la legge italiana non trattava allo stesso modo le vittime di reati internazionali violenti, cioè non tutte avevano diritto all'indennizzo, poiché l'ordinamento italiano non disponeva di un sistema generale per tutti i reati internazionali violenti, lasciando prive di tutela le vittime per esempio di rapina, sequestro di persona e omicidio. E quindi il giudice nelle sue motivazioni riferì di uno Stato che aveva adempiuto soltanto parzialmente all'obbligo, con leggi che tutelavano solo le vittime di terrorismo, strage o delitti di mafia.
Le conclusioni delle motivazioni furono: la pretesa risarcitoria, dunque, "trae linfa nel comportamento antigiuridico dello Stato italiano", da un lato, e nel danno ingiusto subito dalla madre, "causalmente ricollegabile" proprio al comportamento dello Stato.[3]
Alex Maggiolini fu condannato in via definitiva a 15 anni e 8 mesi di reclusione. Durante il periodo della detenzione in carcere si laureò in ingegneria. Dopo 12 anni tornò a casa, a vivere e lavorare in un paese vicino alla famiglia della ragazza uccisa.[4]
A Rossana Wade venne dedicata una scultura[5] e un'area verde ad Alseno.[6] Come vittima di femminicidio, fu anche fonte di ispirazione per un libro.[7]