Voce su Imen Chatbouri
Foto del Ponte Sisto di notte, a pochi passi dal luogo del delitto (di Dietmar Rabich, licenza CC BY-SA 4.0)
Imen Chatbouri (إيمان شتبري), chiamata dai conoscenti Misciù, era un'ex atleta iscritta alla Federazione Italiana di Atletica Leggera. La mattina del 2 maggio 2019, all'età di 36 anni, fu trovata morta a Roma lungo la banchina del fiume Tevere a pochi passi dal ponte Sisto. Dalla prima ispezione medico legale effettuata sul cadavere, gli investigatori presupposero l'esito di un suicidio oppure un omicidio avvenuto in seguito alla caduta dal parapetto.[1]
La donna era originaria della Tunisia e si era trasferita in Italia grazie alla sua dote agonistica. Nel 2002 ai campionati africani si aggiudicò la medaglia di bronzo nella specialità dell'Eptathlon. Gareggiò come atleta professionista per diversi anni,[2][3] poi fu affetta da una malattia che la costrinse a terminare la carriera sportiva. Dopo essere guarita, si dedicò all'attività di personal trainer in una palestra del quartiere di Montespaccato a Roma.[4]
Sul caso della morte della donna la Procura di Roma aveva aperto un'inchiesta. Gli inquirenti furono in grado di ricostruire gli ultimi momenti di vita della trentaseienne analizzando le telecamere di sorveglianza delle zone circostanti alla scena del crimine.
Durante il pomeriggio del 1º maggio, Imen si trovava in compagnia del suo fidanzato olandese, Den Otter, e un altro giovane di origini romene, Stefan Iulian Catoi, 26 anni, in zona Battistini nel quartiere di Primavalle.[5] Circa all'una e mezza di notte la donna si separò dal fidanzato in piazza Venezia, probabilmente in seguito a un litigio per la presenza di Catoi che avrebbe ingelosito il compagno. Una registrazione avrebbe mostrato l'olandese darle uno schiaffo.[4]
Poi la trentaseienne venne ripresa da altre videocamere alle tre di notte mentre passeggiava da via Arenula verso il ponte Sisto. Lungo quel tragitto l'ex atleta veniva pedinata da un individuo in lontananza. Per gli inquirenti si trattava proprio di Stefan Catoi. Nei pressi del ponte Sisto la tunisina si fermò, appoggiandosi al parapetto del lungotevere dei Vallati. In quel punto il losco figuro si avvicinò a lei cogliendola di sorpresa, le afferrò le caviglie, la alzò da terra e la spinse fino a farla precipitare sulla banchina compiendo un volo di oltre 20 metri.[3]
Il sospettato venne fermato e accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.[5][6] Catoi non collaborò con gli inquirenti, né aveva fornito una spiegazione sul movente del gesto. Il legale della difese sostenne che il proprio assistito non aveva motivi per compiere un atto del genere poiché lui non conosceva la vittima. Dopo l'arresto, senza essere informato delle registrazioni video, aveva dichiarato di essere a casa nel momento del delitto. Nel mese di novembre la Procura richiese nei suoi confronti il giudizio immediato.[4]
Due anni dopo, nel novembre del 2021, la Corte d'Assise di Roma aveva condannato Stefan Catoi a 16 anni di reclusione.[7] Il verdetto escluse l'aggravante della premeditazione, contestata invece dalla pubblica accusa che aveva richiesto la pena dell'ergastolo. Nel corso del processo la difesa aveva sostenuto l'innocenza dell'imputato, negando la ricostruzione della Procura e sostenendo che l'individuo, nelle registrazioni video raccolte dagli investigatori, fosse un'altra persona.[8][9]
Di diverso avviso le motivazioni della sentenza di primo grado che aveva sottolineato il comportamento "vigliacco" di Catoi, reo di aver sorpreso Imen alle spalle per farla precipitare nel vuoto. Il ventiseienne raggiunse persino la vittima, dopo essere sceso per le scale presenti nelle vicinanze. Senza avere alcun cedimento, nonostante la donna fosse presumibilmente ancora viva, le sottrasse il cellulare e ne adagiò il capo sullo zaino per simulare che stesse dormendo. Infine, senza remore, si allontanò dal posto.[10]