Voce su Erika Preti
Erika Preti, 28 anni, fu uccisa l'11 giugno 2017 a Lu Fraili, una frazione di San Teodoro in provincia di Sassari. La giovane stava trascorrendo un periodo di vacanza in Gallura insieme al suo compagno Dimitri Fricano, 30 anni.[1][2]
Uno scorcio di Marina di Puntaldia a San Teodoro in provincia di Sassari (di Gaspar Torriero, licenza CC BY 2.0)
I due erano originari del Biellese: lui del capoluogo, lei di Pralungo. Si frequentavano da circa una decina di anni e, dal 2014, convivevano insieme a Pralungo. Nel giugno del 2017 si recarono in Sardegna, dove avevano affittato una villetta a Lu Fraili, di proprietà di alcuni loro amici. Fra quelle mura, la giovane trovò la morte.
Fu il compagno a dare l'allarme, raccontando ai soccorritori di essere stato vittima, insieme ad Erika, di un'aggressione a scopo di rapina da parte di uno sconosciuto. Un malintenzionato si sarebbe introdotto nell'abitazione e avrebbe colpito lui e la fidanzata. La ventottenne aveva avuto la peggio mentre Fricano rimediò un ematoma alla testa e diverse ferite d'arma da taglio, che resero necessario il suo ricovero all'ospedale di Olbia.[3]
La giovane fu massacrata da oltre 50 fendenti, 27 dei quali al collo, sferrati con un coltello presente nella villetta che i due condividevano.[4] Gli investigatori però non diedero totalmente credito alla versione dei fatti fornita da Fricano. La Procura di Nuoro lo iscrisse nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio volontario.
Il trentenne fu dimesso dall'ospedale di Olbia il successivo 24 giugno e ritornò nel Biellese.[5] Un mese dopo, la sera del 22 luglio, l'indagato decise di costituirsi, accompagnato dal proprio legale alla Procura di Biella, dove confessò di avere ucciso la fidanzata.
Fricano riferì di aver avuto un'aspra discussione con la compagna la mattina dell'11 giugno: "Mi aveva rimproverato perché il tavolo era sporco. C'erano troppe briciole. Allora abbiamo iniziato a insultarci e non ci ho più visto". Dunque un alterco che sarebbe degenerato in una violenta colluttazione. Il trentenne aggiunse che Erika lo aveva colpito alla testa con un fermacarte in pietra. Di seguito lui aveva impugnato una lama con la quale aveva scaricato le numerose coltellate sul corpo della ventottenne.[6]
Secondo le ricostruzioni investigative, dopo averle inferto una prima coltellata, Fricano prese la vittima per i capelli e la trascinò per la stanza, sbattendola contro i mobili. Successivamente, quando lei giaceva sul pavimento, il trentenne afferrò un secondo coltello con il quale la uccise sferrando una lunga sequenza di ulteriori fendenti. Il reo confesso fu dunque rinviato a giudizio con l'accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Contestato anche il reato di simulazione di reato, per avere inscenato una rapina mai avvenuta.[7]
Il 26 ottobre 2018 l'imputato fu condannato dal Tribunale di Nuoro a 30 anni di reclusione. Il verdetto riconobbe l'aggravante della crudeltà, ma non quella dei futili motivi. Le motivazioni della sentenza smentirono la versione della lite per le briciole sul tavolo. Piuttosto l'omicidio maturò per la "pura crisi di relazione, l'incapacità di Fricano di accettarla e di vedersi con gli occhi con i quali si percepiva ormai visto da Erika".[4]
Secondo la difesa, però, l'imputato avrebbe sofferto di problemi psichiatrici che avrebbero indotto in lui una "compromissione parziale transitoria della capacità di volere" nel momento del delitto. Nonostante ciò, Fricano fu sottoposto a due perizie psichiatriche che non evidenziarono concreti elementi per escludere la sua totale capacità di intendere e di volere.
Il 16 luglio 2020 la Corte d'Appello di Sassari confermò la condanna a 30 anni per l'imputato, riconoscendo anche l'aggravante dei futili motivi, esclusa nel precedente grado di giudizio.[8][9] La sentenza di secondo grado fu integralmente confermata e resa definitiva l'8 aprile 2022 dalla Corte di Cassazione.[10][11]
Nel novembre del 2023 suscitò diverse polemiche la scarcerazione di Fricano. Il Tribunale di sorveglianza di Torino aveva accolto la richiesta di detenzione alternativa avanzata dai legali dell'uomo per motivi di salute. Secondo l'ordinanza, l'allora trentaseienne era soggetto a un "forte rischio cardiovascolare", tanto per la sua condizione di "grande obeso" quanto per il suo "vizio del fumo".
Non essendo in grado di assolvere autonomamente alle proprie necessità quotidiane ed essendo bisognoso di un'assistenza che non era possibile dispensare nell'istituto penitenziario torinese dove si trovava detenuto, i giudizi avevano disposto i domiciliari per un anno, da trascorrere nell'abitazione dell'uomo nel Biellese.[12]