Casaletto Lodigiano. I ricorsi in Appello sulla sentenza dell'omicidio di Lidia Peschechera.

Immagine della notizia (Immagine di Arbalete su Wikimedia Commons — CC BY-SA 3.0)

Casaletto Lodigiano. I ricorsi in Appello sulla sentenza dell'omicidio di Lidia Peschechera.

La condanna a 20 anni di reclusione di un 28enne di Casaletto Lodigiano per l'omicidio volontario della 49enne Lidia Peschechera, aggravato dai futili motivi, furto e indebito utilizzo di carte di credito, non ha soddisfatto nessuno.

Non il difensore Giovanni Caly, che ha presentato appello contestando il computo della pena inflitta in primo grado, e che punta a una riduzione a 15 anni, e neppure la Procura della Repubblica di Pavia, che nel processo in Corte d'Assiste che si è concluso a luglio aveva chiesto l'ergastolo ma ha ottenuto una condanna che potrebbe vedere l'omicida tornare libero molto prima di aver compiuto cinquant'anni.

E a dirsi amareggiate fuori dal palazzo di giustizia di Pavia erano state anche le militanti di "Non una di meno", che avevano seguito con attenzione questo femminicidio. Lidia quell'inverno aveva ospitato in casa Alessio Nigro, un giovane di Casaletto Lodigiano che aveva anche lavorato a Londra come cameriere, perché lo aveva conosciuto in passato e perché quanto lo aveva incontrato di nuovo si era trovata di fronte a un ragazzo con mille difficoltà.

Il giovane rischiava di finire a dormire all'addiaccio, e non per colpa della famiglia di origine. Lei, animalista e femminista convinta, nota a Pavia per tante battaglie, aveva però chiesto ad Alessio un impegno forte: disintossicarsi dall'alcol e cambiare radicalmente l'approccio con la vita.

Il pomeriggio in cui Lidia è stata strangolata e poi riposta nella vasca da bagno di casa sua, il 12 febbraio del 2021, per rimanerci poi per diversi giorni fino all'arrivo dei Carabinieri, Nigro si sarebbe addormentato ubriaco sul treno che lo stava portando al Servizio dipendenze di Treviglio e sarebbe quindi rincasato in modo rocambolesco ammettendo di non aver resistito alla bottiglia.

Questo l'innesco di una lite che si è trasformata in un delitto. La Corte d'Assise di Pavia ha ritenuto che Nigro fosse parzialmente incapace in quelle ore. Non per l'alcol, ma per una patologia psichiatrica border line che, come ha più volte sottolineato il difensore, lo affliggeva fin dal 2017.

"Questo spiega l'alternarsi di momenti di lucidità e razionalità ad altri in cui non riesce a controllare né i propri atti né la propria volontà", rimarca l'avvocato Caly. Per la Procura pavese un uomo che manda messaggi postumi col telefono della vittima per rassicurare parenti e colleghi e che infine fugge con le sue carte di credito va considerato un lucido omicida. La parola nei prossimi mesi alla Corte d'Appello di Milano.

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