Bologna. Omicidio Alessandra Matteuzzi. Le motivazioni della conferma dell'ergastolo per Padovani.
Giovanni Padovani "ha considerato Alessandra Matteuzzi come un oggetto di proprietà" e dopo averla uccisa "non ha mai manifestato nessun pentimento nel corso della permanenza in carcere e durante l'evolversi del processo".
Lo scrivono i giudici della Corte d'Appello di Bologna nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 11 novembre, hanno confermato la condanna all'ergastolo nei confronti del 29enne ex calciatore dilettante che il 23 agosto 2022 uccise a calci, pugni, martellate e con una panchina di ferro la 56enne Alessandra Matteuzzi, sua ex compagna, in via dell'Arcoveggio a Bologna.
Padovani "non ha mai espresso parole di disperazione o pentimento per l'omicidio commesso", ma ha piuttosto "cercato di giustificarsi affermando di aver sofferto, di essere stato manipolato, infine di aver sentito delle voci che gli comandavano di agire, dichiarando semplicemente di essere consapevole di dover pagare per il gesto commesso, di fatto non discostandosi dalla volontà omicidiaria e accettando soltanto la pena che inevitabilmente ne consegue".
Quanto avvenuto prima del delitto, si legge nella sentenza, "dimostra la gravità progressivamente in aumento della situazione, poiché l'omicidio avviene in un contesto persecutorio, dopo che Matteuzzi per mesi viene spiata nel suo telefonino e sui social, dopo che Padovani si introduce nella sua abitazione abusivamente, la controlla attraverso le telecamere, la pedina, contatta i colleghi di lavoro e gli amici, la insulta, le manomette l'auto e fa scenate".
Anche la condotta contemporanea e successiva al reato, scrivono i giudici, "non consente l'individuazione di elementi favorevoli all'imputato", poiché l'omicidio "è contraddistinto da estrema crudeltà e violenza e, riguardo alla condotta susseguente, è inequivocabilmente provato che l'imputato, immediatamente dopo l'azione aggressiva, abbia voluto assicurarsi che la vittima fosse morta, rivendicando la sua volontà omicida".
Infine, a Padovani non vengono concesse neppure le attenuanti generiche perché, secondo la Corte, non si può "considerare in senso favorevole all'imputato lo stato emotivo e passionale che lo contraddistingueva nel momento dell'omicidio, che pure la giurisprudenza ammette possa essere valutato". Questo perché, si legge nelle motivazioni, "lo stato in cui si trovava Padovani, lungi dal consistere in un eccezionale turbamento emotivo, si colloca in quell'abnorme e ossessiva necessità di controllo verso la vittima in lui presente da sempre". (Agenzia Dire)