Voce su Zeneb Badir
Zeneb Badir, 34 anni, originaria del Marocco, perse la vita il 24 luglio 2018 all'ospedale Giovanni Paolo II di Olbia in provincia di Sassari.[1]
Uno scorcio della costa di Baja Sardinia, frazione di Arzachena in provincia di Sassari (di Hajotthu, licenza CC BY-SA 3.0)
La donna, madre di tre figli di 7, 9 e 14 anni, lavorava come cameriera e risiedeva temporaneamente in un alloggio della località Lu Stazzu di Calcinaiu a Baja Sardinia, frazione di Arzachena (Sassari) dove la sera tra domenica 22 e lunedì 23 luglio 2018 era stata massacrata di botte e presa ripetutamente a calci e pugni in volto. Con lei erano presenti due conoscenti connazionali, Jalal Hassissou, 40 anni, manutentore ed ex compagno di Zeneb, e Soufyane El Khedar, 36 anni, impiegato come aiuto cuoco a Porto Cervo.[2][3]
Furono loro nella giornata di lunedì a trasportarla in stato di incoscienza alla guardia medica di Arzachena, raccontando però che aveva perso i sensi in seguito a una caduta accidentale e aggiungendo che la malcapitata soffriva di un malore che le provocava degli svenimenti. Da lì la trentaquattrenne era stata trasferita all'ospedale di Olbia, dove arrivò in coma irreversibile. I medici, notando i segni della violenza e le profonde lesioni alla testa, non crebbero alla versione fornita dai due uomini e segnalarono il caso ai Carabinieri da cui erano partite le indagini. Intanto la vittima non si era più ripresa e, dopo ore di agonia, perse la vita il giorno successivo.
Hassissou ed El Khedar furono sottoposti a fermo. Il trentaseienne aveva collaborato con i militari indicando l'abitazione dove era avvenuto il pestaggio, ma aveva dichiarato di non aver preso parte all'aggressione. Secondo gli investigatori, invece, sarebbero stati entrambi responsabili della violenza, avendo percosso per lungo tempo la donna, oggetto di botte, pugni e calci, persino sbattuta con la testa contro il water e il lavandino del bagno.
Durante il delitto, i marocchini avevano agito sotto l'effetto di droga e alcol. Il consumo di sostanze stupefacenti era stato confermato anche per la vittima dopo l'esame autoptico, non essendo chiaro però se l'assunzione fosse avvenuta volontariamente o se fosse stata obbligata dai connazionali.[4]
Zeneb Badir era deceduta a causa di un'emorragia cerebrale, provocata dalle percosse subite nel corso del pestaggio. Sconosciuto il movente del gesto. Si era ipotizzato che quella sera i tre avessero organizzato un festino, poi degenerato nella violenta aggressione, probabilmente scaturita dalla gelosia di Hassissou, infastidito dai presunti ammiccamenti rivolti alla ex compagna dall'altro connazionale.
Di fronte agli inquirenti, i due negarono di avere responsabilità nella morte della trentaquattrenne, così come ribadito anche nell'interrogatorio di garanzia, dove Hassissou si era avvalso della facoltà di non rispondere mentre El Khedar aveva pronunciato la sua estraneità ai fatti di violenza. Il giudice per le indagini preliminari convalidò il fermo e dispose la custodia cautelare in carcere per entrambi con l'accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi.[5][6]
Foto della scultura in granito delle "Due Vele", realizzata da Lucifero Sgarbati, situata nella piazzetta di Baja Sardinia (di Hajotthu, licenza CC BY-SA 3.0)
Nel maggio del 2019 furono rinviati a giudizio.[7][1] La Procura richiese per entrambi la pena dell'ergastolo.[8] Il 16 luglio 2020 la Corte d'Assise di Sassari li aveva condannati a 21 anni di reclusione.[9]
Nel corso del procedimento di secondo grado fu ascoltato a processo un confidente di Hassissou. Il testimone rivelò che, quando entrambi erano reclusi nel carcere di Bancali, Jalal gli aveva riferito di aver aggredito da solo la vittima e, se non fosse intervenuto Soufyane a fermarlo, lui ne avrebbe occultato il cadavere e nessuno l'avrebbe trovata.
Una versione però smentita dalla difesa di Hassissou, che ritenne poco attendibile il teste e invocò l'assoluzione o, in alternativa, la derubricazione del reato a omicidio preterintenzionale.[10][11] La difesa di El Khedar si associò alla richiesta di assoluzione sostenendo che il proprio assistito non aveva partecipato al pestaggio, anzì aveva tentato di bloccare il connazionale, anche sulla base della suddetta testimonianza.
Il 28 febbraio 2022 la Corte d'Appello di Sassari respinse entrambe le istanze, confermando la condanna a 21 anni per entrambi gli imputati.[12][13] Il difensore di El Khedar presentò ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte nell'aprile del 2023 confermò la sentenza di primo grado, che divenne definitiva anche per Hassissou.[14]