Voce su Rosina Carsetti
Rosina Carsetti, 78 anni, perse la vita il 24 dicembre 2020 nell'abitazione in cui risiedeva a Montecassiano in provincia di Macerata.[1][2]
Uno scorcio del Palazzo del Podestà in piazza Unità d'Italia nel centro storico di Montecassiano (di Francesco Annibali, licenza CC BY-SA 3.0)
La vittima condivideva la casa con il marito Enrico Orazi, 81 anni, e da un anno anche con la figlia Arianna Orazi, 48 anni, e il nipote Enea Simonetti, 20 anni. La Procura di Macerata aveva iscritto tutti e tre i conviventi nel registro degli indagati con le accuse di omicidio volontario, favoreggiamento, simulazione di reato e maltrattamenti in famiglia. Secondo le ipotesi degli inquirenti, la vittima sarebbe stata sottoposta a una coabitazione umiliante e penosa, essendo costretta a subire insulti, minacce e percosse.[3]
La morte avvenuta la vigilia di Natale rappresenterebbe il culmine di quei maltrattamenti. Gravi accuse tuttavia respinte dai familiari che avevano fornito la propria versione dei fatti. Un ladro incappucciato avrebbe ucciso la signora Rosina dopo aver fatto irruzione nell'abitazione, scavalcando la recinzione e forzando la portafinestra di fronte alla cucina. Di seguito lo stesso avrebbe malmenato, infilato un calzino in bocca e legato a una sedia la figlia Arianna. Poi sarebbe sceso nel seminterrato per compiere le medesime azioni nei confronti del marito Enrico. Così avrebbe agito indisturbato per frugare in tutta la casa, rubare circa 2 mila euro e dileguarsi, prima che il figlio Enea tornasse nell'appartamento.
L'attività investigativa aveva fatto emergere che, cinque giorni prima della morte, la settantottenne si era presentata al centro antiviolenza di Macerata per raccontare di maltrattamenti, violenze fisiche e verbali in famiglia.[4][5] Inoltre l'anziana a fine novembre telefonò ai Carabinieri per segnalare una lite verbale con il nipote, ma non sporse denuncia.
Secondo la relazione del medico legale, la signora Carsetti era deceduta per soffocamento. I segni sul collo, sul volto e le fratture di 14 costole indicherebbero lo schiacciamento di bocca e torace da parte dell'assassino durante l'aggressione fino a impedirle di respirare. Il delitto si collocherebbe tra le 16.30 e le 18.30 del 24 dicembre, ma la prima telefonata ai Carabinieri fu effettuata alle 19.47.[6][7]
Il 7 gennaio i tre indagati, interrogati dal magistrato, si avvalsero della facoltà di non rispondere.[8] Nessun provvedimento restrittivo fu disposto fino al successivo 12 febbraio 2021 quando, su richiesta degli inquirenti, il giudice per le indagini preliminari aveva emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Arianna Orazi ed Enea Simonetti. Per l'accusa di omicidio volontario erano state contestate più aggravanti, tra cui la premeditazione. Non fu ritenuto necessario invece emettere alcuna misura restrittiva a carico del marito della vittima, Enrico Orazi, comunque accusato di concorso in omicidio.[9]
Secondo le risultanze delle indagini, la figlia Arianna avrebbe architettato il delitto e la messinscena della rapina mentre il nipote Enea sarebbe stato l'esecutore materiale dell'aggressione mortale. Il tutto organizzato nelle settimane precedenti al decesso, mentre il marito Enrico sarebbe stato a conoscenza di tutto senza opporsi in alcun modo. In particolare, l'ottantunenne durante un colloquio con i Carabinieri avrebbe chiesto perdono a Dio, evidenziando che lui aveva soltanto assecondato le richieste dei parenti, non potendo fare diversamente. Per l'uomo è stata contestata anche la condotta omissiva.
Nell'insospettire gli investigatori furono decisive le contraddizioni rilasciate dagli indiziati. Soprattutto le due versioni di Enea Simonetti che, la notte del 25 dicembre, in un primo momento aveva riferito circostanze compatibili con la ricostruzione della madre e del nonno, salvo poi, in una seconda dichiarazione, raccontare che non vi era stata alcuna rapina e che lui aveva aderito a una simulazione organizzata dagli stessi parenti. Messinscena di cui sarebbero stati in seguito ottenuti i riscontri tramite le intercettazioni effettuate sui dispositivi in uso agli indagati.
Il movente sarebbe da ricercare in un quadro di forte deterioramento dei rapporti interpersonali tra i familiari, costretti tra l'altro a una convivenza ancora più forzata a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia di Covid-19. La decisione di sopprimere la signora Carsetti sarebbe stata incentivata dopo che gli indiziati fossero venuti a conoscenza del fatto che il giorno 29 dicembre la settantottenne si sarebbe dovuta recare da un avvocato per denunciare i maltrattamenti.[10][11]
Gli inquilini covavano un forte astio nei confronti della vittima che, più volte, aveva confidato ai propri conoscenti più stretti dei maltrattamenti, soprattutto psicologici, che era costretta a subire in casa. In una delle tante discussioni intercettate dagli investigatori, il marito Enrico le rimproverava che lei rappresentava un grosso peso economico per la famiglia, costando circa cinquemila euro l'anno. La donna tra l'altro aveva anche espresso l'intenzione di separarsi dal coniuge.
La custodia cautelare per Arianna Orazi ed Enea Simonetti fu disposta ritenendo sussistenti il pericolo di reiterazione del reato, il pericolo di fuga (avrebbero parlato dell'ipotesi di allontanarsi da Montecassiano) e il pericolo di inquinamento probatorio (avrebbero tentato di contattare persone che avevano testimoniato agli inquirenti i maltrattamenti subiti dalla defunta).[12] Il successivo 15 febbraio, interrogati dal giudice per le indagini preliminari, i due continuarono ad avvalersi della facoltà di non rispondere. Nei loro confronti fu convalidata la custodia cautelare.[13][14]
Nell'estate del 2021 la Procura di Macerata aveva chiuso le indagini confermando per tutti gli indiziati l'accusa di concorso in omicidio volontario pluriaggravato. Secondo i magistrati, era stata la signora Orazi a organizzare e dirigere il delitto con la cooperazione del padre Enrico e del figlio Enea.[15] Il seguente mese di novembre furono tutti rinviati a giudizio.[16][17] Nel dicembre del 2022 la Procura aveva chiesto l'ergastolo per tutti e tre gli imputati contestando l'omicidio volontario premeditato, i maltrattamenti in famiglia, la rapina, la simulazione di reato e l'induzione a non rilasciare dichiarazioni.[18]
Il 15 dicembre 2022 la Corte d'Assise di Macerata aveva condannato Enea Simonetti all'ergastolo senza riconoscere l'aggravante della premeditazione. La madre e il nonno invece furono assolti dall'accusa di omicidio e condannati a 2 anni per simulazione di reato con pena sospesa.[19] Le motivazioni della sentenza ribaltarono le precedenti ricostruzioni, designando Rosina Carsetti come autrice dei maltrattamenti ai danni dei conviventi che erano esasperati dal suo comportamento. La settantottenne sarebbe stata lamentosa, esosa e violenta nei confronti del marito e della figlia. Le testimonianze delle sue amiche furono considerate generiche e contraddittorie, mentre le visite ai Carabinieri e al centro antiviolenza non furono ritenute segnali di un disagio.[20]
Tuttavia, nel maggio del 2024, durante il processo di secondo grado, Enrico Orazi rilasciò dichiarazioni spontanee in aula e confessò l'omicidio della moglie.[21] Dinanzi alla Corte, l'uomo raccontò di aver sorpreso la signora Carsetti a fumare, nonostante le avesse chiesto più volte di smettere: "Mi rispose male, non ci vidi più, non so cosa mi prese. La afferrai per il collo e lei svenne". Poi espresse il suo astio nei confronti della vittima: "Mi trattava come un bancomat, mi chiamava 'babbeo', nonostante io avessi sempre accontentato tutti i suoi capricci".
Sempre secondo la nuova versione dell'imputato, sarebbe successivamente stata la figlia Arianna, insieme al nipote Enea Simonetti, appena rientrato in casa, a mettere in scena la rapina finita male. La pubblica accusa, però, ritenne "tardiva" e "senza valore probatorio" tale confessione. Il Procuratore generale, in contrasto con quanto sostenuto nelle motivazioni della sentenza di primo grado, ritenne l'omicidio della settantottenne il culmine di un lungo periodo di vessazioni a cui la vittima fu sottoposta dai conviventi.[22]
Il 10 luglio 2024 la Corte d'Appello di Ancona aveva ribaltato parzialmente il precedente verdetto. Arianna Orazi fu condannata all'ergastolo, mentre al figlio Enea Simonetti furono inflitti 27 anni di reclusione. Entrambi furono ritenuti responsabili dell'omicidio volontario e dei maltrattamenti in famiglia ai danni della signora Carsetti. Il marito della vittima, Enrico Orazi, fu condannato per maltrattamenti in famiglia e simulazione di reato con una pena complessiva di 4 anni e mezzo di reclusione.[23]
Nelle motivazioni della sentenza di secondo grado i giudici accolsero la tesi della pubblica accusa, secondo cui Rosina Carsetti era vittima dei maltrattamenti dei familiari. La figlia Arianna ed il nipote Enea avevano deciso e pianificato di compiere l'omicidio. Enea agì come esecutore materiale con il pieno concorso della madre Arianna, la quale garantiva e forniva al figlio aiuto, assistenza e collaborazione. Ad Enea Simonetti, tuttavia, furono riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate.
La Corte d'Appello di Ancona individuò il movente del delitto nell'obiettivo di impedire che la signora Rosina arrivasse a denunciare i maltrattamenti subiti in casa dai parenti. Nelle motivazioni della sentenza i giudici criticarono anche le conclusioni espresse nel verdetto di primo grado: «emergeva in maniera evidente un "pregiudizio" negativo, non fondato sugli atti, rispetto alla vittima dipinta in ogni occasione come una donna capricciosa, fatua, pretenziosa, egoista, tendente a esagerare ed a mentire». Le argomentazioni della Corte d'Assise di Macerata rappresentavano «mere ipotesi ed illazioni illogiche, non fondate sugli atti processuali e anzi, contrastanti con le risultanze istruttorie».[24][25]