Voce su Gabriela Trandafir e Renata Alexandra Trandafir
Uno scorcio di Corso Martiri a Castelfranco Emilia (di Carlo Alberto Bertelli, licenza CC BY-SA 3.0)
Gabriela Trandafir, 47 anni, e sua figlia Renata Alexandra, 22 anni, furono trovate morte nel corso del primo pomeriggio di lunedì 13 giugno 2022 all'interno dell'abitazione in cui risiedevano a Cavazzona, frazione del comune di Castelfranco Emilia in provincia di Modena.[1]
A ucciderle fu il marito della quarantasettenne, Salvatore Montefusco, ex imprenditore di 69 anni, originario della Campania. L'uomo dopo il delitto si era allontanato da casa ed era entrato in un bar della zona, con i vestiti ancora sporchi di sangue. Appena varcato l'ingresso, aveva intimato i presenti di chiamare i Carabinieri. I militari giunti sul luogo lo avevano sottoposto a fermo e, al contempo, si recarono nell'abitazione familiare dove furono rinvenuti i corpi senza vita delle due donne, originarie della Romania.[2]
Il sessantanovenne aveva confessato di aver sparato ripetutamente, prima verso la giovane e successivamente verso la coniuge, uccidendo entrambe in casa. Le vittime furono freddate con un fucile a canne mozze avente matricola abrasa. Renata Alexandra aveva confidato alle conoscenti più strette di avere paura del patrigno. La ventiduenne era nata da una precedente relazione della madre con un altro uomo. La signora Gabriela aveva poi avuto un altro figlio da Montefusco.
L'individuo era noto alle forze dell'ordine perché negli anni '90 si era ribellato al pizzo chiesto dal clan dei Casalesi agli imprenditori edili e aveva collaborato con la giustizia, facendo arrestare sedici persone. Montefusco aveva avuto tre figlie da un primo matrimonio, poi la separazione e l'incontro con Gabriela, da cui era nato un altro figlio.[3]
La signora Gabriela in passato aveva denunciato il marito, prima per maltrattamenti in famiglia e poi per atti persecutori, appropriazione indebita e furto.[4] Montefusco, a sua volta, aveva sporto querela nei confronti delle due vittime per maltrattamenti in famiglia e lesioni volontarie.
Il procedimento per maltrattamenti in famiglia, originato dalla denuncia della donna, aveva portato a una richiesta di archiviazione contro la quale la quarantasettenne si era opposta. L'udienza per la discussione della suddetta opposizione all'archiviazione avrebbe dovuto svolgersi nella giornata del 14 giugno 2022 al Tribunale di Modena.
Anche il procedimento per atti persecutori, il cui oggetto era quello di aver subito l'installazione di un apparato GPS sull'autovettura della quarantasettenne, aveva portato a una richiesta di archiviazione. Sempre nella stessa giornata era programmata anche la prima udienza davanti al giudice civile del Tribunale di Modena per la separazione tra i due coniugi.[5]
Al termine dell'interrogatorio dinanzi ai militari, Montefusco fu condotto in carcere con l'accusa di duplice omicidio volontario pluriaggravato. Tre giorni dopo, alla presenza del giudice per le indagini preliminari, il reo confesso confermò nuovamente le proprie responsabilità.[6][7] L'imprenditore raccontò che le due vittime erano ritornate a casa dopo un incontro con il loro avvocato. In quel frangente entrambe lo avrebbero deriso, intimandogli che di lì a breve lui avrebbe dovuto lasciare l'abitazione. L'uomo, dopo aver sentito quelle parole, imbracciò il fucile e le rincorse per tutta la casa, fino a ucciderle.
In particolare la signora Gabriela, dopo essere stata inizialmente colpita, aveva cercato di rifugiarsi nella camera dove era presente il figlio minorenne. Nel frattempo Renata Alexandra aveva tentato di scavalcare il recinto del cortile per scappare, ma il patrigno uscì dall'appartamento e le diede il colpo di grazia. Poi il sessantanovenne tornò all'interno e raggiunse la moglie che tentava di ripararsi dietro al figlio. L'uomo rischiò di sparare anche a lui, poi il giovane scappò e la coniuge fu uccisa.
Il ragazzo impaurito si era allontanato dall'abitazione mentre l'uomo successivamente si recò a un bar poco distante dal luogo del delitto. Proprio lì venne preso in custodia dai militari. L'arma utilizzata per compiere il duplice omicidio non era regolarmente detenuta. L'imprenditore l'avrebbe custodita perché temeva ritorsioni da parte del clan dei Casalesi a causa della sua precedente collaborazione con le forze dell'ordine. Dopo l'interrogatorio di garanzia, il giudice per le indagini preliminari convalidò la custodia cautelare in carcere per il reo confesso.[8]
Nella primavera del 2023 Montefusco fu rinviato a giudizio per il duplice omicidio. La richiesta di rito abbreviato presentata dal suo difensore fu respinta.[9] Per l'uccisione della moglie furono contestate le aggravanti della premeditazione, la crudeltà, il vincolo di coniugio, l'aver commesso il delitto davanti a un minorenne e il fatto che il reato si sia consumato in un contesto di maltrattamenti. Per l'uccisione della figlia furono contestate la crudeltà, i maltrattamenti e la premeditazione.[10]
In un'udienza del processo tenutasi nel febbraio del 2024, l'imputato testimoniò in aula e ripercorse le fasi del delitto dinanzi alla Corte d'Assise di Modena. L'uomo si sfogò, sostenendo di aver subito umiliazioni dalle due vittime che, a suo dire, volevano vendere la casa che lui aveva costruito per loro: "Avevo fatto tutto per loro e mi trattavano come un cane".[11] "Renata aveva la casa intestata, i miei figli no. Una casa da 700mila euro e loro non hanno mai lavorato. Quando ho cominciato a non dare loro più soldi, mi hanno aggredito. Mi davano sempre addosso. Mi hanno rubato tutto ed io a loro non avevo fatto mancare nulla", disse l'imprenditore.[12]
Secondo il PM Giuseppe Di Giorgio, l'omicidio era caratterizzato da due moventi: Quello economico, legato al destino della casa, e l'odio nei confronti delle due vittime. Il fatto che l'uomo uccise prima la figliastra e poi la moglie non sarebbe stata una casualità. Se fosse avvenuto il contrario, un 25% della casa «sarebbe rimasto in capo al ramo romeno della famiglia e non avrebbe garantito il 100 per cento al figlio», evidenziò il magistrato nella sua arringa in aula. Di Giorgio chiese per l'imputato la condanna all'ergastolo con l'isolamento diurno per tre anni.[10]
Il 9 ottobre 2024 Salvatore Montefusco fu condannato a 30 anni di reclusione ed a 5 anni di libertà vigilata. La sentenza escluse le aggravanti della premeditazione e della crudeltà,[13] mentre all'imputato furono riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle restanti aggravanti contestate: aver commesso il reato di maltrattamenti (assorbito dal reato più grave di omicidio) e l'aver commesso il fatto in presenza di minori.[14]