Voce su Olga Matei
La Statua della Madonna del Mare a Riccione
Olga Matei, 46 anni, fu trovata morta la mattina del 6 ottobre 2016 all'interno dell'abitazione in cui risiedeva a Riccione in provincia di Rimini.[1]
A ucciderla fu l'ex compagno Michele Castaldo, 54 anni, nel corso del giorno precedente. L'uomo aveva raggiunto l'appartamento della vittima, originaria della Moldavia, e l'aveva strangolata al culmine di un violento litigio, fino a stroncarle la vita. Dopo aver commesso l'omicidio, Castaldo tornò nella sua abitazione di Cesena e tentò il suicidio con un overdose di farmaci. Aveva anche mandato un messaggio ad una cartomante di cui si fidava, scrivendole di aver "fatto una sciocchezza". Quest'ultima avverti i Carabinieri che rintracciarono il cinquantaquattrenne in casa e scongiurarono il gesto estremo.
Nell'intenzione di togliersi la vita, Castaldo aveva anche scritto una lettera indirizzata alla figlia e rinvenuta nell'appartamento dai militari: "Perdonami, raggiungerò la mia Olga". L'uomo, in stato confusionale, non riuscì a riferire l'identità della vittima, che fu rinvenuta soltanto diverse ore dopo, nel corso del giorno successivo.
La signora Olga viveva in Romagna da circa una decina di anni ed era madre di una figlia di 10 anni, avuta con un connazionale, ex marito dal quale aveva divorziato. Anche Castaldo proveniva da un matrimonio finito, dal quale erano nati quattro figli. Aveva conosciuto la quarantaseienne nell'estate del 2015.
Dopo essersi ripreso, l'uomo fu sottoposto a fermo di indiziato di delitto e, nel corso dell'interrogatorio di fronte agli inquirenti, aveva confessato l'omicidio, sostenendo di aver agito in "preda alla gelosia" nel timore che la compagna lo tradisse. Dopo le formalità di rito, fu condotto in carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato.
Nel dicembre del 2017 fu condannato in primo grado a 30 anni di reclusione. Grazie alla scelta del rito abbreviato, aveva evitato l'ergastolo. L'anno successivo in Appello la pena fu ridotta a 16 anni riconoscendo all'imputato le attenuanti generiche, nonostante la contestazione dell'aggravante dei motivi abietti e futili. Le motivazioni del verdetto stabilirono che una "tempesta emotiva", determinata dalla gelosia, poteva essere considerata come attenuante della responsabilità dell'omicida.[2]
Tuttavia nel novembre del 2019 la Corte di Cassazione annullò tale sentenza, ritenendo un errore la concessione delle attenuanti e disponendo un nuovo processo d'Appello che, nel luglio del 2020, ristabilì la pena inflitta in primo grado.[3] Nel marzo del 2021 la seconda pronuncia della Suprema Corte confermò in via definitiva i 30 anni di reclusione.[4]